Cibo ovunque: tv, magazine, blog di cucina, social media, dove scorre un profluvio di programmi, tutorial, podcast, gare a chi mangia di più, foto di maxi panini, super pizze e condimenti extra golosi.
Dal libro pasticciato con le ricette della nonna, che guai a giocare con il cibo, siamo passati a una grande spettacolarizzazione di cibo digitale, buono più da vedere che da mangiare: questo fenomeno pachidermico si è diffuso in rete con l’hashtag #foodporn (la pratica di chi fotografa il cibo e ne condivide l’immagine sui social) che oggi conta 307 milioni di post su Instagram, 16 milioni di risultati su Google e persino una pagina Wikipedia.
Estetica del cibo
A spiegarci il fenomeno è Luisa Stagi, sociologa dell’Università di Genova, che sul tema è intervenuta al festival “Dialoghi di Pistoia” in calendario dal 24 al 26 maggio scorso: «Il discorso sul cibo non è in sé una novità di oggi: dai primi programmi tv, alle trasmissioni recenti, fino all’esplosione dei blog, da sempre il cibo è protagonista dei media.
Ma negli ultimi anni abbiamo assistito a un processo di estetizzazione del cibo, strettamente legato alla crescita di una società digitalizzata: smartphone e social hanno aperto a tutti la possibilità di giocare, fotografare, postare e produrre così un flusso continuo di cibo rappresentato in modo lussurioso e accattivante. Un’inondazione di eccessi culinari dove l’estetica di forme e colori sembra contare più del gusto degli ingredienti».
Effetto social
Se qualcuno ricorda le prime trasmissioni Rai, con Mario Soldati, che girava le Valli del Po raccontando in tv il cibo genuino, o Luisa De Ruggieri che spiegava ricette e trucchi in cucina, lascia interdetti questo nuovo immaginario del cibo trasgressivo, ad effetto pornografico, dietro al quale si celano ragioni profonde, come spiega Stagi: «Oggi viviamo contraddizioni molto forti, per esempio quello fra la sovrabbondanza, sia fisica che mediatica, del cibo e l’attenzione a una dieta morigerata che risponda a criteri di salute e diktat estetici, amplificati dai social media. Il messaggio è “consuma tanto ma sii magro e in salute”: in questo orizzonte confuso, gli eccessi del food porn rappresentano uno sfogo quasi carnevalesco, un paese dei balocchi nel quale evadere le restrizioni salutistiche».
Nuove tendenze
Se food porn è un termine usato già dagli anni ‘80, per paragonare il desiderio suscitato dal cibo a quello sessuale, oggi ha visto un’evoluzione in versione 2.0 con fenomeni inediti, come spiega Stagi: «Questo piacere voyeuristico del cibo si porta dietro alcuni hashtag curiosi come #yolkporn (yolk significa tuorlo in inglese, ndr), in cui centrale è il movimento del cibo, con ammiccamenti evidenti: il formaggio che fonde, il tuorlo d’uovo che cola copioso, creme e condimenti che debordano ovunque. E ancora, nuove pratiche di convivialità digitale come i mukbang, un filone video nato in Corea, dove le persone si danno appuntamento in rete per mangiare insieme, e arrivato fino a noi come video in cui si paga per guardare qualcuno che mangia a dismisura».
Convivialità digitale
Una grande abbuffata digitale a cui tutti un po’ partecipiamo, con lo scatto del piatto d’eccellenza o del panino dal trippaio, seguendo la sfida del Carbonara day o l’assaggio del vip di turno: «Il cibo – continua Stagi – è una delle forme di comunicazione più efficace: lo sanno bene i politici che lo usano per costruire quel gastro-nazionalismo, fonte d’identità e di appartenenza. Ma lo sappiamo tutti noi: basta ricordare i tempi della pandemia, quando la convivialità di Natale e Pasqua poteva essere solo in rete e i social ci hanno dato un senso di comunità, anche se a distanza». In tanta abbondanza, del buono forse c’è.