Nell’anno dello scudetto del Napoli, non poteva mancare l’apoteosi di Diego Armando Maradona, il grande condottiero che fra ‘80 e ‘90, dalla periferia dov’era relegata, portò la squadra partenopea ai vertici del calcio italiano ed europeo. Che al successo di quest’anno abbia in qualche modo dato una mano – celebre quella del goal ai Mondiali in Messico – il Pibe de oro, morto nel 2020, per il cantore degli eroi del calcio e dello sport Federico Buffa è una certezza: «Troppe strane coincidenze si sono verificate dopo la sua morte: la vittoria dell’Argentina in Coppa America e ai Mondiali in Qatar e lo scudetto del Napoli».
Ma prima di arrivare a Maradona, Federico Buffa nel suo spettacolo la Milonga del fútbol, nel cartellone dell’“Estate Fiesolana” l’11 luglio (biglietti per under 30 a 11,50 euro, 20 posti), parte da lontano: dal 1930, quando arriva in Italia per giocare alla Juventus un tal Cesarini – quello dei goal segnati all’ultimo secondo, la famosa “zona Cesarini” -, nato a Senigallia ma partito dopo appena un anno con i genitori a cercare fortuna in Argentina. «Quando torna in Italia da calciatore diventa un idolo dei tifosi, facendo vincere alla Juventus cinque scudetti di fila, cosa che non era accaduta mai prima a nessuna squadra. Ma poi decide di tornare in Sud America, quando Mussolini impone la militarizzazione di tutti gli atleti». Anche questo un modo di dire no a un regime non gradito.
Un altro giocatore argentino, anch’esso di origine italiana, che ritorna da oriundo e fa ancora il successo della Juventus (poi gioca anche nel Napoli), è Omar Sivori, genitori abruzzese e ligure, ultimo di otto figli, non desiderato perché i genitori non potevano permettersi un’altra bocca da sfamare. Anche lui, gaucho della Pampa, trova l’America in Italia e grazie al talento fa la fortuna della sua famiglia. Buffa lo ricorda in una partitella a calcetto con Maradona a metà degli anni Ottanta le cui immagini sono state ritrovate e sono disponibili su YouTube.
Ma parlare di calcio e dei suoi campioni è per Buffa il pretesto «per parlare del Novecento argentino e di quel sentimento dell’anima che gli stessi argentini dicono di “non poter fermare” e che è cantato in tutti gli stadi. Un Paese che viene attraversato da crisi economiche cicliche e molto pesanti – come quella attuale, la più grave degli ultimi trent’anni -, ma che gli argentini trovano sempre il modo di superare grazie alla loro grande immaginazione, presente nelle forme artistiche e d’espressione e decisamente anche nel calcio».
Fra i calciatori argentini che trovano spazio nella celebrazione di Buffa, anche un beniamino delle nostre zone, Gabriel Omar Batistuta, capocannoniere della Fiorentina negli anni Novanta. Anche lui di origine italiana, friulana per la precisione, che nel viaggio di andata e ritorno dall’Argentina perde due “t” dal cognome: in origine infatti era Battistutta.
Ma cosa può insegnare ai giovani di oggi questa nostalgica Milonga di un calcio che sembra così lontano e diverso da quello dei giorni nostri? «È vero che quello odierno è un calcio molto più fisico e che i giocatori sono atleti più “costruiti”, ma la storia di Messi, che sin da piccolo ha avuto problemi di crescita e non supera il metro e settanta, ci insegna che il genio e il talento faranno sempre la differenza». Finché c’è calcio, c’è speranza.