Relazione, fiducia, amore, scambio, condivisione, piacere. Ecco cos’è il cibo, raccontato dall’antropologo Marino Niola. Che si immagina questo Natale come un pranzo di Babette e le feste come una dolce glassa che ci abbraccia.
«Il cibo non è solo nutrirsi, anche se oggi passa la vulgata che riduce il cibo alla sola nutrizione, fatta di grassi, carboidrati e calorie. C’è una ragione se gli uomini sono i soli “animali” che da un lato mangiano per vivere, ma dall’altro vivono anche per mangiare e attorno al cibo hanno costruito una cattedrale di istituzioni, civiltà, modi di stare insieme, piaceri, sapori e tradizioni». Niola parla del cibo italiano a confronto con quello anglosassone: da una parte la tradizione, la cultura, l’abbondanza, il piacere, la convivialità, dall’altra dieta, privazione, penitenza, astinenza, in nome anche di un’idea religiosa diversa, ovviamente secolarizzata, che non mette più al centro il dio ma l’io, che propone limitazioni per il corpo e non per l’anima.
Tornando all’Italia, dove il cibo è anche grande fattore di sviluppo e di attrazione turistica, ecco che questa parola si lega pure alla parola responsabilità: quella di chi fa la spesa e prima ancora quella di chi sceglie cosa far trovare sugli scaffali ai consumatori.
«Quando parliamo di cibo, è fondamentale la scelta degli ingredienti: si tratta di un momento chiave, perché da semplici consumatori di cibo ci rende co-produttori, ci fa esercitare la nostra consapevolezza, ci dà l’opportunità di decidere se vogliamo prodotti locali o importati, ad esempio. E in questa fase un ruolo importante lo ha anche chi distribuisce cibo. Per qualcuno, la massima espressione d’amore è l’atto di cucinare, il prendersi in questo modo cura dell’altro. E infatti, la radice della parola cibo, che deriva dal greco antico kebos, cioè un misurino usato per calcolare la giusta dose di cibo che non doveva essere né troppo né troppo poco, e che è la chiave che deve orientarci anche oggi, richiama il concetto di responsabilità» afferma Niola.
Che Natale sarà?
Se nei mesi di piena pandemia «gli italiani per reazione allo stare chiusi in casa si sono riversati sul cibo, con tantissime persone che hanno ricominciato a cucinare – dice Niola -, e i pranzi e le cene delle feste diventavano sociali ma a distanza, grazie a internet», il Natale 2021 cosa ci proporrà?
«Mi piace prefigurarlo come un pranzo di Babette, dal film che ruota intorno alla preparazione di un pasto ricchissimo e gustosissimo. Credo che potremo festeggiarlo in piccoli gruppi, con prudenza ma senza fobie, rimettendo al centro la tavola, i cibi preparati con cura, le cose che ci possono dare l’idea di una vita che riprende, pensando anche agli acquisti dei vari prodotti. Del resto facendo buone scelte alimentari, agevoliamo anche la ripresa economica del Paese, vista la rilevanza dell’agroalimentare sul nostro territorio – prosegue l’antropologo -. Mi immagino insomma un Natale insieme e ricco di piatti abbondanti e anche, perché no?, di abbuffate. Ci vedo immersi in una cascata di buon cibo, senza pensare alle calorie, almeno per qualche giorno, ma solo alle Feste, che altrimenti non sarebbero tali. Possiamo farlo anche tornando alla tradizione dei riti precristiani, che cadevano in corrispondenza del nostro Natale ed erano il momento dello scambio e di offerta del cibo agli dei, quando bisognava assaggiare tutto e in un certo senso era obbligatorio abbuffarsi».
E nel caso che attorno alla stessa tavola siedano “tribù alimentari” diverse?
«Il mio invito è comunque alla condivisione, ognuno seguendo la propria idea di cibo, chi è vegetariano scegliendo cibi vegetali, con la libertà, per chi è carnivoro, di mangiare prosciutto, culatello e quel che gli va».
Un pacco di cibo
Regalare cibo: cosa significa?
«Vuol dire regalare la vita, è uno dei doni più antichi che esistano. Certo, non il cibo quotidiano ma quello “ricercato”, che fa sì che una persona vada a cercarlo, si prenda cura dell’altro a cui lo regala, si metta nei suoi panni, cerchi di indovinare i suoi desideri. Anche i cesti natalizi, con i loro colori accesi e rutilanti che si vedono sotto Natale, danno gioia, sono uno spettacolo che ci avverte che è arrivato il periodo dell’anno in cui si fa festa e ci si prepara a un cambiamento e sì, si può anche strafare».
Sempre a patto che sia cibo democratico: «Uno dei ricordi legati alla spesa di Natale mi riporta a quando io e mia moglie alla Coop vedevamo lo champagne in offerta, non dopo, ma prima del Natale. Massimo tre bottiglie per persona, per evitare speculazioni e al tempo stesso dare proprio a tutti la possibilità di fare un brindisi».
Da Nord a Sud
Ancora Natale: ogni regione italiana ha le sue abitudini. Quali sono?
«Da questo punto di vista è come se ci fosse una cesura fra il Nord e il Centro-Sud, fra chi festeggia il 25 a pranzo e chi la Vigilia, con una cena che è solo apparentemente di magro. Vogliamo infatti – si chiede Niola – parlare dei piatti del 24 sera? Se il 25 è il giorno del tacchino, del cappone, dei tortellini, la sera della Vigilia assistiamo ad una sorta di sospensione cosmica, che rapisce uomini e cose e mette al primo posto il cibo. Vediamo così tracimare le tavole di pesce, dai branzini ai frutti di mare, fino alle ostriche. E a completare il pasto la frutta secca, ma soprattutto la pasticceria, dal classico panettone agli struffoli e la cassata, lo zelten e il panforte. C’è un modo migliore per rappresentare l’allegria e la gioia delle Feste?».
La cena di San Silvestro
«Quando inizia un nuovo anno, ci aspettiamo sempre che sia migliore del precedente – sostiene Niola -: per questo lo festeggiamo con una cena a base di lenticchie, che fin dall’antichità per la loro forma ricordavano le monete e portavano prosperità e ricchezza. Stessa cosa per il cotechino, che con la sua abbondanza di grasso era considerato un piatto ricco. Anche oggi che il grasso è colpevolizzato per ragioni dietetiche, è facile capire perché questi cibi venissero considerati simbolo della festa, perché allargano il cuore e mi auguro che trionfino sulla tavola anche per il 31 dicembre prossimo».