Tanti cantucci vengono preparati ogni giorno dal pasticcere-poeta Paolo e dalla sua famiglia nel cuore della Toscana
«Soltanto gli idioti non sono buongustai. Si è gourmand come si è artista o poeta. Il gusto è un organo delicato, percettibile e rispettabile come l’occhio o l’orecchio.
La mancanza di gusto è la privazione di una capacità superiore, della capacità di distinguere le qualità di un libro o di una opera d’arte. Significa possedere una bocca stupida, come si può avere una mente sciocca»
Questa la citazione dello scrittore francese Guy De Maupassant con cui Paolo Gazzarrini ci accoglie nel laboratorio della sua pasticceria Il Cantuccio di Federigo a San Miniato. Un angolo per golosi in cui ogni prodotto è una piccola opera d’arte firmata a più mani, come racconta Paolo stesso.
«Chi sono? Sono un piccolo artigiano che si diverte a lavorare, giorno dopo giorno, utilizzando sempre gli stessi ingredienti per ripresentare delle ricette antiche. Io… rappresenterei la quinta generazione dedicata all’arte bianca. Insieme a me c’è Elisabetta, mia moglie, con le sue mani fatate, ricche di esperienza, come quelle di mio padre Rino, che non ha smesso un solo giorno di dedicarsi a questa attività».
I cantucci hanno una lunga storia
Così si racconta Paolo Gazzarrini, titolare di un’attività nota in quel di San Miniato e non solo, perché i suoi cantucci e altri prodotti sono finiti in Giappone e persino alla Corte della Regina Elisabetta d’Inghilterra. Il tutto nasce in una bottega d’altri tempi: il Cantuccio di Federigo, il cui nome si ispira a Federico II di Svevia, che qui rinchiuse il suo cancelliere Pier delle Vigne.
Ad accogliere i visitatori questo pasticcere-poeta, pronto a declamare versi e far degustare il meglio della tradizione dolciaria toscana: crostate, budini di ricotta, torte di pinoli e semolini, cavallucci, brigidini, un panettone premiato dal Gambero Rosso e i famosissimi cantucci, in vendita anche nelle pasticcerie dei superstore e di alcuni punti vendita Unicoop Firenze della zona.
I cantucci all’anice, con mandorle e uvetta, sono bis-cotti nel senso vero della parola, perché cotti due volte: dopo la prima cottura, il filoncino viene tagliato e i cantucci vengono ripassati in forno, per una tostatura che li rende friabili e gustosi più a lungo. Questa la più nota fra le vere ricette della tradizione che il nonno Virgilio, detto “il Perondi” per l’aspetto rubicondo, e il padre Rino, si sono tramandati di mano in bocca.
Non è solo una pasticceria
«Ci divertiamo a presentare i dolci della tradizione nella loro semplicità – continua Paolo – in questo percorso nel gusto, nella tradizione, nel desiderio continuo della qualità». Lievito madre, tanta passione e un po’ di erudizione per fare qualcosa di più del solo vendere: «La nostra non vuol essere una pasticceria con “pizzi e merletti”, ma una bottega d’altri tempi dove ci si incontra, si chiacchiera, si scambiano le idee e le cose che sanno di buono.
Vendere, sì, ma non solo: mi illudo ancora che qui dentro si possa instaurare un rapporto diverso tra chi vende e chi acquista, in un incontro senza la distanza della pura mercificazione. E, in tutto ciò, l’ingrediente insostituibile è quella passione di fare sempre meglio le cose semplici. Perché non è vero che basta farli, per farli buoni, i dolci».