Che un cambio di paradigma fosse necessario – e auspicabile – il professor Magatti lo aveva già detto e scritto. Che il Coronavirus possa rappresentare un acceleratore di questo cambiamento, è un’ipotesi più che probabile: «C’erano questioni che ci trascinavamo dietro da anni, sicuramente dal 2008 e forse anche da prima, legate alle disuguaglianze e alla sostenibilità ambientale ad esempio. Con il virus sono diventate esplosive e potrebbe essere il momento giusto per affrontarle» spiega Mauro Magatti, professore di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Il virus ci ha portato ad avere paura degli altri, come riacquisteremo la fiducia?
L’emergenza sanitaria ci ha portato in una situazione ambivalente, dove l’altro è stato visto come portatore di infezione, ma abbiamo anche capito che non ci si salva da soli. Abbiamo inoltre realizzato che il pericolo non viene da persone lontane, come il migrante o il povero, ma anche da mio padre o mio figlio, e così si stanno smorzando delle categorie negative formatesi negli ultimi anni. Infine, dentro questa trasformazione che stiamo vivendo, c’è il tema di una libertà consapevole, che ci vede ognuno responsabile non solo di se stesso, ma anche dell’altro.
In questo periodo, che ruolo hanno avuto le nuove tecnologie?
Sono state preziosissime, perché ci hanno consentito di mantenere rapporti che si erano improvvisamente interrotti, ad esempio con i propri cari e amici, e di continuare a lavorare, ma hanno anche rivelato tutti i loro limiti. Con le tecnologie si fanno più attività di quelle che pensavamo possibili, ma non possono sostituire l’effetto di realtà che ci dà l’essere presenti con altri.
Il Coronavirus ha avuto un forte impatto su tutti noi. Poco però si è parlato di bambini e ragazzi…
Saranno i bambini e i giovani ad accusare il danno maggiore. La scuola ferma per metà anno, anche se la didattica digitale è andata avanti, rappresenta per tutti i ragazzi un ostacolo alla loro formazione come individui, perché è lì che si combattono le disuguaglianze e si pongono le basi per il prossimo futuro. Credo che quanto prima la scuola dovrà tornare al centro dei nostri sforzi.
All’altro lato della scala demografica, gli anziani, con tanti decessi e l’acquisizione di una nuova consapevolezza della loro fragilità.
La società contemporanea ha allungato la vita media, ma non siamo stati capaci di elaborare un pensiero su cosa succede alle persone una volta che escono dal mondo del lavoro, una fase di vita che dura anche 20 o 25 anni. I nostri anziani sono stati una generazione abbandonata, riscoperta con la pandemia, quando ormai per molti era troppo tardi. Anche per rispettare i tanti morti degli ultimi mesi, credo si debba lavorare per dare dignità sociale e un significato collettivo al momento in cui si smette di essere produttori e si entra in una fase diversa della vita. I nonni non sono solo coloro che accudiscono i nipoti, ma possono e devono tornare parte attiva della comunità, come portatori di memoria al centro di un senso collettivo.
Le persone in difficoltà economica sono in aumento e gli invisibili sono sempre più invisibili. Cosa possiamo fare?
Arriviamo alla crisi attuale dopo anni di economia stagnante, in cui si sono formati interi gruppi sociali marginali, senza possibilità di accedere al mondo del lavoro o ai circuiti del benessere economico e sociale. Ora la crisi sanitaria ha investito economia e società e il mercato non basterà per affrontare questi problemi umani e sociali. Dobbiamo inventare strumenti nuovi, trovare risorse finanziarie e al tempo stesso rivedere il nostro modo di essere cittadini e parte di una comunità. Servirà un forte senso di corresponsabilità nei nostri condomini e quartieri, ricordandoci che la coesione sociale non è solo un nostro desiderio astratto, ma la condizione per l’armonia sociale e la crescita economica.