Padri, madri e figli. Un palco. Un attore. Questi gli ingredienti che l’attore Mario Perrotta mescola nel suo progetto teatrale dedicato alla famiglia. Tre gli spettacoli che, dal 2019 sta costruendo, con i suoi testi e l’illuminante supporto dello psicanalista Massimo Recalcati, per raccontare come essere famiglia oggi, in un presente complesso in cui i ruoli sfumano e le relazioni sono ingoiate da un tempo veloce, digitale e sfuggente. Diventato da poco padre, il pluripremiato (Hystrio e Ubu) Perrotta inizia proprio da questa figura, con lo spettacolo “In nome del padre”: inizia da qui, un po’ per rispondere alle domande in arrivo con un figlio, e un po’ per esorcizzare le paure che ogni padre e ogni genitore porta con sé, dal primo giorno in poi.
L’attore, che proprio oggi sarebbe andato in scena al Teatro Puccini di Firenze, ha risposto a qualche domanda sullo spettacolo e sulla famiglia, al tempo di oggi.
Che padri racconta nel suo spettacolo “In nome del padre”?
Con lo spettacolo porto in scena tre padri diversissimi tra loro per estrazione sociale, provenienza geografica, condizione economica e culturale, eppure sono legati fra loro da un filo rosso. L’elemento comune fra loro è l’essere assenti come padri. Questo è anche il dato di contemporaneità di molti padri italiani. Ovviamente ce ne sono anche tanti che fanno benissimo il loro mestiere ma se c’è una “patologia” dell’esser padre oggi, è quella dell’assenza. Di essere tendenzialmente ancora eterni adolescenti che non riescono a prendere in mano il compito paterno.
Il compito di un padre oggi?
Con il proprio agire raccontare a un figlio o a una figlia l’amore per l’esistenza, l’ostinazione ad amarla, la vita, nonostante le cose che ti possono accadere intorno, personali, sociali, civili, mondiali. E poi, insegnare loro che di fronte a inciviltà, violenza, odio – tutte parole che ormai pervadono il nostro quotidiano – si deve opporre non con le stessi mezzi ma con l’arma opposta: la gentilezza.
Che valori vorrebbe trasmettere a suo figlio?
La libertà, individuale, che però si ferma laddove lede la libertà dell’altro. Quindi il rispetto del prossimo. Queste sono le prime due cose che vorrei insegnargli. Poi, a non farsi mettere mai i piedi in testa da nessuno e soprattutto da chi lede la sua dignità e a non fare altrettanto.
Secondo lei cosa è una famiglia?
C’è famiglia laddove c’è in qualche modo un rapporto di cura. Chiunque si prende cura di qualcun altro. Famiglia non è un numero esatto e minimo tre. Fa famiglia anche un adulto che si occupa di un bambino, quindi, ad esempio, piuttosto che lasciare i bambini nelle case famiglia o negli orfanotrofi, lascerei che un single possa adottare un figlio. Sono assolutamente tranquillo rispetto al fatto che due genitori possano essere dello stesso sesso. Per essere genitori non basta mettere al mondo un figlio biologicamente. Genitore è chi sceglie di esserlo, prendendosi cura di un figlio ogni giorno, tutti i giorni, per sempre.
Chi sono, allora, i genitori?
Papà e mamma, o papà e papà, o mamma e mamma, sono quelli che ti raccontano una favola la sera, ti insegnano a stare al mondo da persona civile e ti comprano le scarpe. Questi sono i genitori.
Padri e madri, uomini e donne, il dialogo è possibile?
Non solo è possibile, è necessario, è obbligatorio, è essenziale. Anche perché, per come la vedo io, esistono esseri umani. Io non riesco a vedere una donna, un uomo, una persona color cioccolato, una gialla, una bianca, uno con gli occhi a mandorla, uno alto e uno basso. Io vedo esseri umani.