Fra i primati che ci ha lasciato il Rinascimento fiorentino, ce n’è uno che conoscono solo gli addetti ai lavori: il Ricettario fiorentino, il primo documento nel panorama nazionale di farmacopea redatto da una commissione di esperti. Il Collegio dei Medici dell’Arte degli Speziali selezionò le ricette che potevano essere utili ai dottori di allora nella pratica professionale e spiegò come prepararle e gli ingredienti da utilizzare. E dato che a quei tempi non esisteva la medicina di sintesi, sono le piante a farla da padrona in quel vademecum medico che fu stampato per la prima volta nel 1499 e poi riaggiornato periodicamente con le nuove scoperte.
Una vocazione tutta toscana quella che riconosce il particolare valore curativo delle piante perché a quasi 500 anni di distanza, nel 1997, nacque a Empoli la prima struttura ospedaliera pubblica di fitoterapia, guidata dal medico Fabio Firenzuoli, oggi direttore del Cerfit, Centro regionale per la fitoterapia. Adesso sono addirittura tre le sedi universitarie toscane che hanno sviluppato strutture di ricerca sugli effetti terapeutici delle specie vegetali sulla salute.
«I dati ci raccontano che il 25% dei toscani fa uso delle erbe per curarsi, principalmente preparate secondo la tradizione» spiega Firenzuoli. Nonostante questa predilezione di una fetta importante della popolazione, vero è che una percentuale non trascurabile di persone guarda ancora con sospetto a questo mondo. Proviamo a fare chiarezza.
Partiamo dai termini: fitoterapici e fitofarmaci sono la stessa cosa?
Assolutamente no, i primi sono i medicinali a uso umano che derivano dalle piante, i secondi invece sono i trattamenti utilizzati in agricoltura, per curare le piante, spesso tossici e di origine chimica.
C’è differenza tra fitoterapici e prodotti erboristici?
Sì, perché i fitoterapici sono considerati medicinali veri e propri e pertanto devono seguire le regole dell’Agenzia per il Farmaco, garantendo caratteristiche di efficacia, qualità e sicurezza, mentre i prodotti erboristici seguono altre trafile prima di essere messi in vendita, principalmente come integratori, e quindi seguono criteri di qualità e sicurezza tipici degli alimenti.
Torniamo ai farmaci veri e propri, chi può prepararli?
Le industrie farmaceutiche oppure il farmacista. Quando vengono dall’industria, prima di essere commercializzati devono ricevere un’autorizzazione dall’Agenzia Italiana per il Farmaco e nella confezione deve essere presente un bugiardino con la posologia, le indicazioni terapeutiche e le controindicazioni, proprio come un farmaco di sintesi. E possono essere venduti solo in farmacia.
E quando la preparazione è galenica, cioè ad opera del farmacista?
Deve seguire le formule di una farmacopea autorizzata dal Ministero e riconosciuta anche a livello europeo. Oppure seguendo una ricetta che viene fornita dal medico, meglio se specializzato nella cura con le erbe, creata appositamente per quello specifico paziente.
Esistono medici con una specializzazione riconosciuta in fitoterapia?
C’è un registro apposito all’Ordine dei Medici, al quale possono iscriversi tutti i medici che abbiano superato un master dopo la laurea o corsi accreditati dalla Regione.
I detrattori di questa medicina affermano che i principi attivi estratti dalle piante non sono efficaci, perché meno concentrati rispetto ai farmaci di sintesi.
Meno concentrati spesso sì, ma l’efficacia dei farmaci originati dalle piante segue strade diverse da quelli di sintesi. Ad esempio, curare la lombosciatalgia acuta con l’estratto di salice avrebbe effetti scarsi. Se la stessa patologia si presenta in forma cronica e con dolore più lieve però continuativo, la fitoterapia offre dei vantaggi, perché l’estratto di salice contiene un insieme di sostanze che riduce l’effetto collaterale della molecola pura sulla mucosa gastrica ed è capace comunque di lenire un dolore, se moderato, anche cronico.
Altri esempi?
L’iperico, che risulta efficace come antidepressivo quanto quelli di sintesi, grazie a tutte le sostanze che lo compongono, ma con minori effetti collaterali. Le piante ci offrono soluzioni complesse, perché in natura la complessità è un valore.
A cosa dobbiamo stare attenti?
Alle interazioni con altri farmaci, come l’iperico con gli antirigetto o altri antidepressivi; ma questo vale anche per la liquirizia con i cortisonici, per il succo di pompelmo con alcuni antistaminici. È sempre bene affidarsi ad esperti.
Fitoterapia: sui medicinali fitoterapici
I medicinali fitoterapici hanno effetti collaterali: se si sbaglia il dosaggio, oppure il tipo di estratto (ad esempio un distillato anziché un infuso), oppure ancora se non vengono prese in considerazione le interazioni con altri farmaci.
Infatti i medicinali fitoterapici non sono uguali a quelli omeopatici. Nei fitoterapici il principio attivo, cioè le sostanze della pianta, deve essere ben presente e nella giusta dose. Nell’omeopatia, invece, vengono diluite durante la preparazione dei prodotti, a tal punto da non trovarne più tracce.
I medicinali fitoterapici sono venduti solo in farmacia. Nelle erboristerie o nelle parafarmacie invece si trovano preparati o miscele di piante o integratori, prodotti che seguono la disciplina normativa, criteri di qualità e di sicurezza relativi agli alimenti. Mentre i medicinali fitoterapici sono sottoposti alle stesse procedure di controllo dei farmaci di sintesi.
La verità sul basilico
Qualche anno fa un noto oncologo, ormai scomparso, affermò che il pesto a base di basilico era cancerogeno. La notizia ovviamente allarmò i fan del pesto alla genovese, e non solo. Le sue dichiarazioni si basavano però sulla ipotetica tossicità dell’estragolo, una sostanza presente nella piantina dall’inconfondibile aroma.
In realtà studi recenti hanno dimostrato che le foglie di basilico contengono flavonoidi capaci di annullare gli effetti dell’estragolo e rendono sicuro il consumo del pesto.