Lotta al dolore. Terapie e cure

Quando la sofferenza diventa intollerabile: terapie e cure palliative

Sono diverse le patologie che possono causare dolore: se non si può agire sulla causa della malattia stessa, e quando si cronicizzano, occorre lenire la sofferenza per migliorare la qualità della vita dei pazienti.

Rocco Domenico Mediati è direttore della Sod Cure palliative e terapia del dolore dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Careggi.

Quali sono le principali condizioni in cui occorre intervenire con la terapia del dolore?

«Sono tutte quelle situazioni in cui il dolore è presente e continuo senza che sia possibile eliminare la causa che lo sta provocando. Alcune delle patologie più note sono la nevralgia post-erpetica (nota anche come fuoco di Sant’Antonio), il dolore da cancro (quando non è possibile rimuovere rapidamente il tumore), la lombo-sciatalgia (quando non dipende da una causa precisa che si possa rimuovere) e molti altri».

Quali sono le terapie più efficaci?

«Le terapie possibili sono diverse; noi iniziamo con le terapie farmacologiche; tra queste molto efficaci sono gli oppioidi che possono dare grande sollievo ai pazienti che soffrono, però hanno molti effetti collaterali e problematiche diverse, vanno quindi gestiti con molta accuratezza. Accanto a questi ci sono altre categorie di farmaci che ne potenziano gli effetti e a volte li sostituiscono completamente. Quando i farmaci non bastano, si interviene con terapie infiltrative a vari livelli (articolazioni, muscoli, colonna vertebrale) che sono molto efficaci. Come ulteriore arma abbiamo terapie più invasive che richiedono piccoli interventi chirurgici (per esempio l’impianto di stimolatori elettrici spinali) che possono risolvere situazioni complicate. Con tutte queste terapie possiamo ridurre efficacemente il dolore in circa il 90% dei casi. La cosa più importante, però, è prendersi cura globalmente del malato affetto da dolore cronico e supportarlo anche per gli aspetti psicologici, sociali, familiari ecc. Con una gestione complessiva della sofferenza dei nostri pazienti, i risultati sono nettamente migliori».

Quello che lei dirige è centro di eccellenza nell’uso di terapie innovative come la cannabis. Come sono stati scoperti gli effetti antidolorifici?

«In realtà non c’è stata una scoperta: nel tempo si è capito che alcune molecole contenute nella cannabis sono molto efficaci nel ridurre alcuni tipi di dolore. Al momento il problema è che, spinti dalle notizie apparse sui media, le persone si aspettano di poter curare con la cannabis molte patologie che invece non rispondono a questo farmaco. È necessario rivolgersi a medici esperti che possano valutare l’opportunità di iniziare questa terapia».

Quale è il meccanismo di azione? 

«I cannabinoidi intervengono su recettori specifici del nostro organismo che, tra le altre funzioni, hanno quella di controllare i segnali dolorosi; in particolare riducono il dolore che origina dal sistema nervoso (neuropatico). Viene somministrata, a seconda dei casi, per bocca sotto forma di tisana o di olio, oppure per via inalatoria con un apposito inalatore».

Qual è la percentuale di successo?

«Noi utilizziamo la cannabis quando i farmaci tradizionali non sono efficaci, e la percentuale di successo nel nostro centro si aggira intorno al 60%. Non bisogna dimenticare che assumere cannabis comporta qualche limitazione: per esempio il codice della strada vieta di guidare quando la si sta assumendo».

Un consiglio sempre valido: in caso di dolore persistente non prolungare l’uso di analgesici con il metodo “fai da te”, ma rivolgersi a centri dedicati.

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