«Se anche la Storia è piena di fake news, a cosa possiamo credere allora?».
«La verità oggettiva non esiste, esistono i fatti e quelli non si mettono in discussione, ma la loro interpretazione è sempre frutto dell’esperienza di chi scrive la Storia, che diventa quindi manipolabile».
L’ipotetico dialogo fra lo studente in cerca di certezze e il suo professore, dalle aule universitarie atterra negli spazi del Centro*Ponte a Greve a Firenze. Davanti al pubblico attento della Festa delle Bibliocoop, sale in cattedra Paolo Mieli, giornalista e già direttore del “Corriere della Sera” e della “Stampa”. E la Storia diventa un film.
Come accade tutti i giorni all’ora di pranzo quando dagli studi di Raitre Mieli entra nelle case italiane con Passato e presente, ricostruendo gli eventi storici, con un taglio giornalistico, quasi investigativo: «Il racconto della Storia funziona se non la si presenta come verità apodittica: è importante domandarsi se i cattivi erano davvero cattivi e i buoni davvero buoni, ed è fondamentale insegnare ai giovani a dubitare di quello che viene loro raccontato. Solo in questo modo si scoprono le verità nascoste».
Quelle verità di cui Mieli parla nel suo ultimo libro, da poco uscito per Rizzoli, con cui smaschera trenta episodi di Storia manipolata o mal tramandata che dir si voglia. Attraverso le pagine de Le verità nascoste Mieli ci ricorda, ad esempio, che non fu Gino Bartali con la sua vittoria al Tour de France a impedire la guerra civile dopo l’attentato a Togliatti; o ancora che il Diario di Galeazzo Ciano fu corretto ad arte dallo stesso autore per tramandare un’immagine positiva del fascismo.
Le fake news non sono quindi prerogativa esclusiva della contemporaneità, ma se ne trovano anche andando indietro nel tempo…
Le prime manipolazioni della Storia si riscontrano già più di 2000-3000 anni fa, perché gli storici e gli intellettuali di regime ci sono sempre stati. Pensate a Virgilio e all’Eneide: per regalare origini divine a Ottaviano Augusto fa risalire al troiano Enea la gens Giulia, con evidenti forzature dei fatti storici, spostando fra l’altro la vicenda di Didone, regina di Cartagine, di alcune centinaia di anni.
Si parla di errori o c’è del dolo?
La Storia è fatta dai vincitori, che fanno passare solo la loro visione dei fatti. Per questo è importante dubitare di quanto ci viene raccontato: certamente le congetture non possono essere presentate come verità oggettive, ma è sempre bene porsi delle domande, attraverso le quali si arriva a scoprire nuove verità.
Ad esempio?
Tutti i personaggi che hanno goduto di fama negativa svelano un volto diverso. Prendiamo Attila: il suo nome è associato ai diserbanti, perché per secoli si è tramandato il detto che “dove passava lui non ricresceva l’erba”. In realtà fu un grande modernizzatore per la società in cui viveva. Lo stesso vale per Nerone, che non fu soltanto l’imperatore dissennato che dette fuoco a Roma, incolpando i cristiani; fu anche un uomo capace di importanti riforme in campo edilizio ed economico, che cambiarono il volto di Roma. Quello che si tramanda non è sempre tutto vero o almeno lo è solo in parte.
A proposito di leggende metropolitane: nel suo libro smentisce anche quella che descrive i fascisti come incapaci di ruberie nei confronti dello Stato
Abbiamo troppa fretta di “fare la Storia”, che diventa tale solo quando passa del tempo e le vicende sono davvero chiuse. Così anche nel caso che lei cita.
Come faranno gli storici futuri a raccontare la Storia contemporanea?
Non sarà facile, basta osservare i fatti più recenti, le dichiarazioni dei nostri politici e le loro incoerenze: un giorno viene pronunciata una frase e il giorno seguente l’esatto contrario. Senza considerare tutto quello che passa attraverso il web: sarà complicato verificare le fonti e provare a raccontare un’ipotetica verità. Se verrà meno poi l’impronta industriale dell’editoria di giornali e riviste, che a suo modo garantisce il rispetto di certe regole, lasciando spazio solamente ai social, saranno guai per chi vorrà ricostruire in maniera storica il nostro presente.
Con la brutta stagione è in arrivo anche l’influenza: un capitolo del libro è riservato a un’influenza davvero speciale…
La Spagnola, che fece più morti della Prima Guerra Mondiale e che “spagnola” non era per niente. In realtà i primi a contrarla furono i soldati americani e con loro arrivò in Europa. Per non demoralizzare le truppe gli Stati belligeranti la censurarono, non così in Spagna che era neutrale e dove le notizie giravano liberamente. Forse è per questo che nessuno l’ha mai chiamata l’Americana.