Pupi Avati racconta Dante

Il regista Avati parla del suo ultimo film dedicato al Poeta, giovane e innamorato

Difficilmente sarà sfuggito a qualcuno che il 2021 è stato l’anno dantesco: libri, conferenze, documentari hanno raccontato l’Alighieri sotto tante sfaccettature che a scuola ci avevano omesso. In pochi sanno però che nessun film ne ha mai narrato la vita. Per timore reverenziale, forse? «Più probabilmente perché la biografia scritta dai dantisti presenta ancora molte zone d’ombra» spiega Pupi Avati.

Il regista bolognese, autore di tanti film apprezzati da pubblico e critica, ha colmato questa lacuna la scorsa estate con le riprese fra Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna che andranno a comporre la sua opera intitolata semplicemente Dante, prossimamente al cinema.

Da dove è nata la sua passione per Dante?

Mi sono avvicinato al Poeta da autodidatta, scoprendo il mondo dei dantisti, che è composto da un numero infinito di studiosi e ricercatori che operano ovunque. L’interesse è nato soprattutto leggendo la Vita Nuova, che non è altro che il diario di un giovane che racconta la sua prima storia d’amore fino alla morte di lei, qualcosa di straordinariamente moderno, sia psicologicamente sia poeticamente.

Un Dante diverso da quello raccontato nei libri di scuola…

Un essere all’opposto, lontano anni luce da quel personaggio arcigno, supponente, emarginato e cupo che mi avevano raccontato da ragazzo, scoperto rileggendo le sue opere e la sua vita, attraverso la prima biografia di Dante Alighieri, che fu scritta da Giovanni Boccaccio. Un libro fondamentale che rappresenta ancora oggi le colonne d’Ercole delle conoscenze che abbiamo sulla vita di Dante. Le cose più essenziali le sappiamo da Boccaccio, a partire dall’anno di nascita, il 1265, fino ad arrivare al nome e al cognome di Beatrice Portinari.

Boccaccio trova spazio anche nel film?

Ho pensato di poter usare Boccaccio come pretesto narrativo, una specie di detective che compie un viaggio da Firenze a Ravenna per capire chi sia stato veramente Dante Alighieri. Non esiste nella storia della letteratura moderna mondiale qualcuno che abbia fatto così tanto per un altro letterato. Boccaccio ha copiato tre volte la Divina Commedia, l’ha diffusa ovunque, ne ha commentato diciotto canti, prima di ammalarsi e morire. Un esegeta e un promoter, oggi si direbbe un influencer.

Con le sue immagini ripercorreremo il viaggio di Boccaccio?

Quel viaggio non è documentato. Possiamo immaginare che sia arrivato in Casentino per poi entrare in Romagna, sappiamo che è passato dall’Abbazia di Vallombrosa, ma non abbiamo altre informazioni. Ho cercato per le riprese luoghi che ancora respirassero aria di Medioevo e rendessero credibile l’ambientazione. Ho girato tantissimo in Umbria. Ma è stato comunque un film complicato.

Perché è+ stato complicato?

Ho provato a girare a Firenze, ma non esiste più un angolo di città in cui puoi fare un’inquadratura e immaginarti di essere nel Medioevo, si è totalmente modificata nel tempo, ma soprattutto negli ultimi anni, con tutti questi negozi che ci sono adesso. Abbiamo inquadrato per un attimo il Battistero, ma c’erano talmente tanti turisti da rendere difficile un bel risultato. Del resto è stato così anche a Ravenna.

Com’è il Medioevo ricostruito per questo film?

Né troppo cupo, né certamente solare. Sono un medievista appassionato e ho ricevuto i più importanti riconoscimenti per film ambientati nel Medioevo, come i premi Francovich, Cecco D’Ascoli e Le Goff con Magnificat e I cavalieri che fecero l’impresa. Non ero nuovo quindi a questo tipo di incursione nel passato. Questa volta, però, la cosa che mi interessava di più era raccontare un essere umano, che secondo me nelle tantissime celebrazioni di questo anno non è emerso. Si è raccontato Dante sotto il profilo politico o come padre della lingua italiana nell’utilizzo del volgare, mentre io l’ho narrato nelle sue qualità più intime, legate alla poesia e all’amore: quelle di un ragazzo innamorato di Beatrice.

Un amore puro che dura tutta una vita…

Puro per modo di dire. Boccaccio ci racconta che Dante ebbe pulsioni diverse e non ignorava i piaceri della carne.

L’amore per Beatrice è simbolico, un sentimento possibile ancora oggi?

Certo che è possibile, prima di questo ho fatto un film su un amore, quello del papà di Sgarbi, durato 65 anni, e su Sky ha avuto più di un milione e mezzo di telespettatori.

Però i giovani contemporanei sono diversi…

Il mio Dante è un ragazzo introverso, timido, con dei complessi, ce ne sono tantissimi di giovani così: quando li accolgo come assistenti, gli somigliano moltissimo per sensibilità e vulnerabilità. La difficoltà a interloquire e interagire, a la paura di sentirsi emarginati o inadeguati esistono oggi come allora. Pensate che Dante ci ha messo nove anni per riuscire a ricevere il saluto di Beatrice!

Oggi le ragazze sono più esplicite.

Le ragazze probabilmente sì, ma di ragazzi timidi ce ne sono ancora tantissimi.

Secondo lei per apprezzare di più il Poeta avremmo bisogno di un Dante Pop? Fra l’altro è anche il titolo di una mostra che si è tenuta a ottobre a Bagno a Ripoli, vicino a Firenze, e che lei ha visitato.

Quella mostra ha trovato un modo divertente per testimoniare quanto Dante sia presente nell’immaginario, tanto che è stato usato spesso come testimonial, ad esempio di macchine da scrivere. Per questo non riesco a spiegarmi perché su Dante non sia mai stato fatto un film.

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