A tu per tu con l’attrice Pilar Fogliati

In queste settimana al cinema con il film "Romeo è Giulietta" di Giovanni Veronesi, nei panni di un uomo, fra equivoci e stereotipi

«C’è ancora domanidi Paola Cortellesi èun esempio formidabile, per tutte. Ma il discorso deve ancora andare avanti. Se c’è un film diretto da una donna non deve per forza essere considerato un messaggio politico, ma come l’opera di una donna che fa l’artista. Questa è la vera parità di genere».

Parola di Pilar Fogliati che di differenze di genere se ne intende, visto che nell’ultimo film di Giovanni Veronesi, Romeo è Giulietta, nelle sale da qualche settimana, è sia la protagonista femminile sia maschile. Nella finzione del film, infatti, dopo essere stata scartata a un provino a teatro per il ruolo di Giulietta, si presenta a un regista arrogante e narciso – un travolgente Sergio Castellitto – con un filo di barba, la voce due toni sotto, i capelli corti. Et voilà, ecco Romeo. 

Trentun anni, terza di quattro figli, un nome regalatole da una nonna argentina, Pilar Fogliati è in rampa di lancio, dopo la serie Odio il Natale e un film tutto suo, Romantiche, di cui è anche regista, che le è valso il Nastro d’argento come miglior attrice. 

Come ha lavorato per costruire un personaggio “maschile”?
Volevo evitare ogni effetto ridicolo, ma trovare la misura giusta. Ho lavorato tanto sulla voce per non fare il vocione da maschio alfa. Ho pensato alla voce nitida di alcuni miei colleghi doppiatori, che scandiscono le parole quasi con dolcezza.

E rispetto ai sentimenti “maschili”, come ha lavorato?        
La cosa bella è stata poter recitare, a due giorni di distanza, il monologo di Giulietta e quello di Romeo. Due modi di amare giovanili, ingenui, entrambi quasi sconvolti di fronte all’enormità dell’amore.

Come stanno cambiando i rapporti fra i sessi nel cinema?
Dall’inizio del #MeToo, nel 2017, il panorama dei rapporti fra uomini e donne è cambiato, radicalmente. Io ho iniziato a lavorare a cavallo di questa rivoluzione, in un terreno più preparato, per esempio, per accogliere una ragazza che si misura con la regia. 

Su che cosa occorre ancora lavorare?
Sulla solidarietà fra donne. Finché sentiremo che i posti, per noi, sono pochi, sarà più difficile essere solidali. Il piccolo spazio che ci siamo prese va difeso e fatto crescere.  

Siamo vicini all’8 marzo: quali conquiste ancora da fare?
Mi sembra che alcune cose non siano mai cambiate, anzi. Che siano anche peggiorate. I discorsi sull’orologio biologico si fanno ancora: il canone estetico conta sempre parecchio. E con questa narrazione, secondo cui la donna può – e deve – fare tutto, ci viene chiesto di essere, allo stesso tempo, strafighe fino a sessant’anni, avere un corpo desiderabile, essere artistiche e lavoratrici, simpatiche, amiche, amanti, mogli, intelligenti, spiritose: eh, mica si può fare tutto insieme! 

Basterebbe una cosa sola, fra queste, giusto?
Se una donna non vede l’ora di sposarsi, fantastico! Si sposi! E se una vuole andare sulla Luna? Bene lo stesso. Io? Io sogno di avere dei figli, ma sogno anche questo mestiere. Corro il rischio contro cui mi sono scagliata prima, quello di voler essere un po’ tutto: moglie, ragazza carina, fidanzata, mamma, attrice brillante, donna… e attrice uomo. 

Che cosa deve cambiare, nella cultura che riguarda i rapporti fra i sessi?
Ancora bisogna abbattere molta ignoranza, e molta violenza. Il discorso sulla libertà e le opportunità delle donne non deve essere limitato a una élite, deve arrivare dappertutto. In tutti gli ambienti sociali. Vedo su Instagram video in cui uomini dicono: «La mia fidanzata? Non la manderò mai a ballare». Quella è ignoranza emotiva. E non va permessa. 

Che cosa dovrebbe portare l’8 marzo?
Un pensiero di libertà e di dignità. Dobbiamo tutte prendere esempio da donne intelligenti e libere, come Paola Cortellesi, e ognuna deve avere diritto a realizzare il suo sogno. 

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