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A tu per tu con Giorgio Panariello

Comico, conduttore, imitatore. Ora anche tessitore di favole nel film "Incanto" di Pier Paolo Paganelli, dove Giorgio Panariello recita a fianco di Vittoria Puccini

Lo conosciamo come comico, come conduttore, come imitatore. Ma Giorgio Panariello, 65 anni compiuti il 30 settembre, ha ancora un’altra anima: l’anima gentile di un tessitore di favole. Ha interpretato un clown poetico e surreale nel film Incanto di Pier Paolo Paganelli, dove recita al fianco di Vittoria Puccini e della piccola esordiente Mia McGovern Zaini. Il film ha echi surreali e felliniani, con Giorgio che trova una dimensione quasi da cinema muto, alla Charlie Chaplin.

«L’incanto è proprio quello che ci manca oggi – dice Giorgio Panariello -. Manca a noi adulti e manca anche ai bambini. Credo che i bimbi oggi abbiano bisogno di due cose: dell’affetto, prima di tutto. E poi dello stupore, del senso della meraviglia. Riuscire a meravigliarsi della bellezza del mondo, e della vita».

Ora su Netflix e Disney+

Il film Incanto, dopo essere uscito nelle sale lo scorso luglio, è disponibile adesso su Netflix e su Disney+. «Mi piaceva l’idea di interpretare una fiaba, di raccontare sentimenti delicati – prosegue il comico -. Il circo è un mondo che ho conosciuto da piccolo, amando tutto: anche l’odore del metano che riscaldava il tendone. Il circo l’ho amato tantissimo da subito: allora, non avevo coscienza delle sofferenze degli animali, e amavo anche la scimmietta in tutù. Adesso ho una consapevolezza diversa, amo solo il circo che rispetta gli animali. Ma quello stupore che il tendone mi donava, da bambino, non posso dimenticarlo».

L’infanzia di Panariello non è stata una passeggiata, come racconta nel libro Io sono mio fratello. «Sono stato abbandonato da mia madre, che era troppo giovane per crescere un figlio, e non ho mai saputo chi fosse mio padre. Sono stato allevato dai nonni materni. Un anno dopo è nato mio fratello Franco. Ma i nonni avevano già da crescere me e i loro cinque figli: e lui venne affidato a un istituto di suore. Ogni tanto veniva a casa da noi, e per i primi anni non sapevo che fosse mio fratello, pensavo fosse un amico, con il quale giocare».

Quel fratello, poi, avrà problemi di droga, e Giorgio lo aiuterà, portandolo a San Patrignano. Ma la tragedia arriva ugualmente: viene trovato morto per ipotermia sul lungomare di Viareggio. «Se hai sofferto tanto, qualcosa ti rimane negli occhi per sempre. Le cose non belle, che mi sono capitate da ragazzo, le ho esorcizzate con l’umorismo – aggiunge Panariello -. Lo spettacolo, ho iniziato a sognarlo prestissimo: facevo finta che la spazzola per capelli di mia nonna fosse un microfono e rilasciavo interviste immaginarie».

Cameriere mancato

Dopo le scuole medie, si iscrive all’alberghiero. «Anche lì ci si preparava al contatto col pubblico, ma per fare il cameriere, e io non ero portato. Mio zio, allora, mi fece fare l’elettricista al cantiere navale di Viareggio: altro mestiere assolutamente sbagliato per me. Nessuna nave sarebbe mai riuscita a partire grazie al mio lavoro di elettricista! Nel frattempo – racconta – cominciai a fare pratica in quelle che una volta si chiamavano “radio libere”. Decisi di rischiare il tutto per tutto. Non è stato facile all’inizio, alle sagre di paese le persone erano poche e distratte. Poi è andata sempre meglio. E siamo ancora qui».

Maestro anche nell’arte difficile e sottile dell’imitazione, con Renato Zero è riuscito in un’imitazione talmente perfetta da confondere persino il diretto interessato: «Ero in Versilia – ricorda Renato Zero – quando su una tv locale vedo che sto su una carrozzina, e uno mi intervista. Dico: “Ma quando caspita sono andato sulla carrozzella?”, e sto lì un quarto d’ora a cercare di ricordare, dopo un po’ lui ha fatto una mossa falsa, e ho detto “Quello non so’ io”, poi ho scoperto che era lo Zerofolle che era sempre in terza fila in tutti i miei spettacoli!».

Altri progetti al cinema? «Ho in cantiere due sceneggiature mie, due commedie dolceamare – conclude Panariello -. Io come regista? No, per carità, ho già dato. Meglio che diriga chi lo sa fare!».

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