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A tu per tu con lo scrittore Andrea Bajani

Il vincitore del Premio Strega e del Premio Strega Giovani 2025 si racconta tra parole e libri

Andrea Bajani è autore di romanzi e racconti, ma anche poeta, autore teatrale – suo Miserabili, di e con Marco Paolini, e di 18mila giorni, Il pitone con Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa -, insegnante di scrittura creativa e di famiglia alla Rice University di Houston in Texas, traduttore dal francese e dall’inglese. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue.

Con il suo romanzo L’anniversario ha vinto il Premio Strega 2025 con 194 voti e il Premio Strega Giovani 2025, votato da una giuria di ragazzi tra i 16 e i 18 anni.

Andrea Bajani. Credits Musa
Andrea Bajani. Credits Musa

«L’anniversario è un libro di grande complessità e di grande forza emotiva» commenta Bajani. E prosegue: «Il libro racconta la storia di un figlio che decide di “affrancarsi” dal legame con la propria famiglia, disgregata dalla violenza del padre-padrone e dalla muta e disperata sottomissione della madre. L’idea è nata dall’esperienza di insegnante negli Stati Uniti dove tengo il corso “Scrivere la famiglia”. Molti studenti e studentesse portano spesso storie dolorose e quello che mi ha colpito è che nonostante il dolore che raccontano, le situazioni di palese disagio o abuso, di violenza domestica nessuno ha mai preso in considerazione l’idea di sottrarsi o affrancarsi da questa violenza. Con il mio libro ho voluto infrangere questo “tabù”, perché per me la letteratura serve a questo, ad infrangere i tabù». 

Quanto conta il linguaggio nei suoi libri?

Il linguaggio è tutto, è un lavoro ostinato e senza compromessi, perché la letteratura è fatta di lingua, di stile e di struttura. La letteratura cerca di proporre una nuova visione del mondo, combatte gli stereotipi, le idee preconcette, i pregiudizi e lo fa attraverso la modalità con cui parola dopo parola si racconta il mondo.

Lei ha tradotto anche opere dal francese e dall’inglese, quest’anno è stato anche membro della Giuria nella sezione narrativa straniera del Premio Gregor Von Rezzori Città di Firenze. Qual è la difficoltà maggiore nel tradurre un’opera altrui?

Tradurre è un esercizio di empatia, un atto di militanza, soprattutto in un momento sociale e politico come quello che stiamo vivendo in questo momento, e la traduzione è un esercizio di ascolto. Nella traduzione dobbiamo mettere da parte il nostro io scrittore, contenere la nostra  espressività e creatività, come accade quando dal nulla si crea. 

Nei suoi laboratori al Salone internazionale del Libro di Torino invitava i ragazzi a inventare parole con cui costruire la loro idea di mondo. Quanto è importante insegnare ai ragazzi a raccontare il mondo con le loro parole? E che ruolo ha la scuola in questo?

La scuola è fondamentale, è la vera questione. Conoscenza è imparare il mondo e poi provare a raccontarlo a modo proprio. La creatività è quella che ci aiuta a ridare forma alla realtà. 

Nel 2014 scrisse il pamphlet La scuola non serve a niente in cui denunciava l’emergenza sociale legata alla mancanza di ascolto, di relazione tra studente e insegnante che portava spesso al “rinuncianesimo” da parte di entrambi. È ancora così?

Non conosco la realtà italiana attuale, ma trovo ci sia una grande solitudine sociale, e che la scuola rappresenti in questo momento una grande ambasciata, un luogo in cui poter stare davvero tra pari. Chiediamo ai ragazzi, ma facciamo vedere loro che sappiamo che ce la possono fare.

Ne Il libro delle case racconta la vita e la costruzione dell’identità di IO attraverso la storia delle case in cui ha abitato. Pensando alla scuola come ad una casa, cosa ha lasciato di sé come studente? E come insegnante? Cosa si è portato via? 

A scuola ho incontrato insegnanti che hanno creduto in me, quando ancora non sapevo chi fossi. Un’insegnante al liceo che mi ha incoraggiato a scrivere poesia, uno di filosofia che mi ha insegnato a smontare i pensieri, un professore di letteratura inglese all’università che mi ha consigliato di leggere Virginia Woolf. Come insegnante vorrei lasciare ai miei studenti l’idea che per scrivere bisogna avere il coraggio di aprire la nostra scatola nera, le cose che non diciamo nemmeno a noi stessi.

Nella sua raccolta di poesie Promemoria in Poesia del giorno scrive “Non partire senza lasciare una sporta di parole per chi resta”. Lei quali parole ha lasciato?

Tutte le parole dei libri, ma se devo scegliere le tre più importanti: essere, ascoltare e respirare. Le stesse parole anche “per chi la notte nel buio si dispera”.

Qual è il suo libro della vita?

Il libro che mi ha cambiato la vita e fatto diventare lo scrittore che sono mi è stato regalato da un’amica, a 18 anni, ed è La vita è altrove di Milan Kundera. Un romanzo che mette insieme angeli, sesso e politica in un narrazione che non procede mai in maniera lineare. 

Tre libri per i giovani per costruire il loro ordine alfabetico senza paura di scomporre nuovamente le lettere, citando il suo libro La vita non è in ordine alfabetico

Il primo, come atto di amore e ricordo, è Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, un linguaggio meraviglioso e un’istigazione a prendere posizione; poi Le parole tra noi leggere di Lalla Romano, il racconto del rapporto tra una madre e un figlio, e Gita al faro di Virginia Woolf, il libro che ho letto a 20 anni e che mi ha fatto comprendere come con il linguaggio possiamo abbracciare il mondo e connettere la vita interna e quella esterna.

Un’ultima domanda: quale consiglio lascia ai suoi studenti alla fine dei suoi corsi di scrittura? 

Consiglio loro di portare sempre con sé un libro, di vivere consapevolmente, prendere appunti delle cose che accadono nella loro vita, delle frasi che arrivano loro in testa, e leggere molta poesia, perché maestra di suono, senso, metafora, di rottura del senso comune. 

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