Nura Musse Ali è nata a Mogadiscio e vive in Toscana da oltre vent’anni. Per storia personale e impegno civile e professionale (fa parte della Commissione Pari Opportunità della Regione Toscana e ha conseguito la specializzazione post laurea per le professioni legali) si occupa da tempo di mutilazioni genitali femminili, una violenza feroce e tribale, praticata fin dai tempi dell’antico Egitto.
Le mutilazioni genitali inflitte alle bambine sono principalmente diffuse presso gruppi ed etnie del continente africano e della penisola arabica ma sono praticate anche in tutti i Paesi occidentali, quindi anche in Europa e in Italia, per effetto dell’immigrazione. «Sì, il problema esiste anche da noi – precisa subito Nura Musse Ali -: si stimano 88mila donne affette da questa patologia per malformazione procurata, ma credo che il fenomeno sia più ampio. In primo luogo perché si tratta di una popolazione che fa poco ricorso alla sanità, e poi perché non ci sono mai state attività di screening sistematiche come per altre patologie».
Le stime nel mondo coinvolgono invece 200 milioni di donne, offese nel corpo fin dai primi anni di vita. Un’atrocità da tempo denunciata in Occidente, dove sono state fatte leggi e campagne di sensibilizzazione per combattere questa pratica, ma la Toscana, prima al mondo, ha fatto un notevole passo in avanti, con l’intento non solo di prevenire, ma anche di curare.
L’esperienza toscana
La Toscana vanta un’esperienza ventennale nella trattazione delle mutilazioni genitali femminili e la Regione ha intrapreso uno studio approfondito sul tema, sul livello di capacità preventiva delle norme giuridiche e sul percorso sanitario più idoneo per le pazienti vittime di questa pratica.
«Grazie al lavoro della Commissione Pari Opportunità – prosegue la dottoressa -, siamo riuscite a dare risposte sul piano sanitario, e a marzo di quest’anno è stato istituito il Centro di riferimento regionale per le mutilazioni femminili e per la chirurgia ricostruttiva dell’apparato genitale, ora al Santa Chiara, ma in prospettiva sarà spostato a Cisanello».
Nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, che fa da riferimento a livello nazionale per le patologie complesse del pavimento pelvico, collaborano oggi competenze e professionalità in campo ginecologico e di chirurgia plastica e si portano avanti programmi di collaborazione con le università africane. E lì bambine e ragazze troveranno cure e accoglienza grazie al Sistema sanitario regionale, in uno spazio sicuro che offrirà loro la migliore assistenza possibile per curare ferite che sono sia fisiche che psicologiche.
Denunciare per superare il trauma
«Questo progetto – aggiunge Musse Ali – mi ha accompagnata per oltre un terzo della mia vita e mi sento incredibilmente fortunata ad avere trovato una “famiglia” con cui realizzarlo. Nel corso di questo cammino ho incontrato un incredibile sostegno politico, intellettuale e umano, che non si può esprimere a parole. E spero che le donne vittime di mutilazioni, che sono riuscite ad elaborare o risolvere il trauma, abbiano la forza di denunciare pubblicamente, di superare la loro immotivata vergogna. Non si possono più accettare pratiche che ci considerano come oggetti, che subiamo spesso nei primi anni di vita e che ci creano sofferenze indicibili nel corpo e nell’anima».
Il lavoro da fare è ancora lungo, sarà essenziale coinvolgere le scuole e la magistratura per una prevenzione ancora più efficace. E sarà importante continuare a parlarne, con ogni mezzo necessario.
Intanto, il 18 luglio, viene ufficialmente inaugurato il Centro regionale di riferimento e, su proposta della sezione soci di Pisa, Unicoop Firenze offrirà una cena alla Certosa di Calci. Un’occasione per coinvolgere donne africane, rappresentanti delle istituzioni ed esperti della materia. E per tenere viva l’attenzione su un tema così importante.