A Figline Valdarno corre una lunga strada, che sembra quasi tagliare il paese. È via Antonio Gramsci. Tra la via e la stazione ferroviaria, c’è una piazza.
Sembra quasi nascosta, guardandola dalla stazione, perché è circondata da palazzi e porticati in pietra grigia, pieni di negozi e studi medici. In realtà questa piazza è in piena vista, guardandola dalla strada. E in realtà, se parlassimo in termini di toponomastica, quella non è nemmeno una piazza, sarebbe via della Vetreria.
Proprio qui, tra i tanti sporti nel largo spiazzo, c’è la cooperativa Lettera 8.
Le insegne recitano in grandi lettere gialle: cartotecnica, legatoria, manutenzione varie. Ma è molto di più.
Entrando ci si trova in un primo laboratorio molto luminoso con una piccola zona dedicata alla vendita al pubblico. Piccoli oggetti di tutti i tipi, bomboniere e regali affollano gli scaffali: c’è il piccolo angelo per le comunioni, eleganti decorazioni per regalare bottiglie di vino con la propria azienda oppure deliziose confezioni per confetti da matrimoni e molto altro.
Ma la parte del leone è riservata al grande laboratorio diviso in più stanze: grandi tavoli da lavoro ordinatamente ingombri di materiali come nastri, confetti, bottigliette, tappi, piccole scatole e molto altro. Tutti i lati degli ampi locali sono circondati da ampi scaffali dove si trovano carte di tutti i tipi, contenitori per utensili di lavoro, stampe di lavori precedenti e via dicendo.
Al centro ci sono presse da tipografia, scatoloni con materiali grezzi e sgabelli per lavorare comodi. Tutto in un ambiente luminoso e pulito.
Fino a qui sembra una normale azienda, ma come la via, che in realtà è una piazza, questa attività è un po’ diversa. Ci sono tante ragazze e ragazzi disabili che, insieme a Ilaria, Martina e altre educatrici e professionisti, siedono ogni mattina sugli sgabelli intorno a quei tavoli.
“La cooperativa Lettera 8 è una specie di palestra dove le autonomie dei ragazzi disabili vengono alimentate con i lavori manuali” racconta Ilaria, la presidente della cooperativa. Si lavora con le ragazze e i ragazzi disabili per renderli autonomi, cioè dargli la possibilità di andare a vivere da soli, trovare un lavoro e non essere dipendenti in nessun modo dagli altri. Questo lo si fa tramite un ambiente lavorativo protetto e specializzato, ovvero Lettera 8.
Questa cooperativa viene da lontano: nasce nel 1990 dai genitori della zona. Volevano un luogo dove i loro figli potessero iniziare un loro percorso di autonomia, senza i pericoli di un tradizionale posto di lavoro. I primi dipendenti infatti erano proprio loro, i genitori.
Così nasceva Lettera 8 con il suo lavoro di cartotecnica e legatoria, aiutata anche dai comuni del territorio. Ma non tutto ha sempre filato liscio.
“Per 10 anni un’argenteria ci ha portato buone commesse di confezionamento. Ma poi quest’azienda ha chiuso e ci siamo dovuti reinventare.”
Iniziava così anche il laboratorio delle bomboniere e tutto ciò che riguardava le cerimonie. È importante capire che questo prodotto è frutto di un lavoro particolare. Le educatrici la definiscono una bomboniera solidale: non stai comprando solamente una bell’oggetto, ma stai aiutando tutte queste ragazze e ragazzi ad integrarsi meglio. Si condivide una sensibilizzazione.
Cuori e menti della cooperativa
Tutte le ragazze e i ragazzi disabili che lavorano da Lettera 8 arrivano tramite i servizi sociali: viene stilato un progetto per ognuno di loro con verifiche ogni tre mesi dei progressi. Per alcuni la cooperativa è il posto giusto, ma magari per altri ragazzi è troppo tutto insieme. Mentre per altri è troppo poco, e sarebbero già pronti ad un salto al livello successivo.
Qui i ragazzi imparano molte cose: lavorare con le mani anche in mansioni di particolare precisione. Ma sopratutto ad avere relazioni con se stessi e con gli altri. Questi sono i primi passi di un percorso, che può durare anche alcuni anni all’interno la cooperativa ma finisce, almeno generalmente, con l’autonomia dei ragazzi.
L’autonomia non come concetto astratto ma intesa come vivere da soli, badare a se stessi, lavorare in un ambiente tradizionale e senza aiuti di sorta. Essere quindi parti della società al 100%.
“Questo è un posto protetto dove si impara a lavorare, a rispettare gli orari, le regole e le consegne. Ma sopratutto ci siamo anche noi, cioè la parte educativa. In un luogo di lavoro tradizionale questo non c’è. Magari alcuni dei ragazzi sono pronti professionalmente per andare a lavorare in un’azienda normale. Ma cognitivamente e relazionalmente spesso no” spiega Martina, educatrice.
Il rapporto con le educatrici è molto particolare: sono colleghe, guide, maestre e amiche per tutti i ragazzi. Ma anche qualcosa di più.
“Sono entrata in cooperativa diversi anni fa” – racconta Martina, una ragazza che fa l’educatrice. “Scelsi di fare qui lo stage ma non avevo mai lavorato con la disabilità. Appena arrivata mi mandano subito a fare volantinaggio con Giorgio: un ragazzo molto svelto e con poca pazienza.”
Ma il rapporto si ribalta in fretta “Io non sapevo cosa fare: non avevo fatto mai un volantinaggio in vita mia e non sapevo nemmeno dove andare perché non conoscevo il posto. Giorgio era scocciatissimo perché sapeva dove andare e cosa fare. Ero io che imitavo lui.”
“Presto persi il senso dell’orientamento e non sapevo come tornare in cooperativa. Lui cercava di farmi capire che sapeva dove andare, ma io non sapevo se fidarmi.”
“In quel momento non sapevo assolutamente cosa fare e Giorgio decise di tornare alla cooperativa per conto suo.”
“Chiamai subito in cooperativa vergognandomi tantissimo: Ti sei persa? mi dissero Beh, ti riporterà Giorgio! Ero stupita e rincorsi subito Giorgio che tornò sfuriando in cooperativa.”
“Quel giorno ho capito una cosa importante: qui non ci sono ruoli definiti in maniera statica. Spesso e volentieri l’aiuto arriva dai ragazzi e in maniera inaspettata.”
Ma prima di tutto, il lavoro!
Qui non si coccola, si lavora tutti insieme. Ognuno con i propri tempi e le proprie necessità ma si lavora. Si compongono bomboniere, si inscatolano regali o si montano cablaggi per conto terzi.
La cultura della carità e di assistenza deve essere messa da parte mettendo davanti la persona, sempre e prima di tutto. Da Lettera 8 promuoviamo la comprensione e cerchiamo di dare un’opportunità ai ragazzi per sviluppare una propria indipendenza.” spiega Ilaria “Ovviamente questo non vuol dire che i ragazzi giocano: loro lavorano seriamente e con grande diligenza.”
Proprio per questo dal 2001 la cooperativa inizia a strutturarsi con educatori professionisti e specialisti dei settori di lavoro. Qui infatti trovano lavoro, oltre le educatrici e i ragazzi, anche una rilegatrice professionista e altre figure professionali specializzate.
Inoltre hanno anche un laboratorio di piccola manutenzione esterna: sistemano panchine, staccionate, giochi nei parchi pubblici o nelle scuole.
Si lavora e si lavora davvero: tutti i ragazzi devono imparare a rispettare i tempi delle consegne, a portare a termine le mansioni nelle maniere stabilite e fare lavori di precisione. Non sempre è facile e i tempi non sono brevi ma questo è il sentiero che arriva fino all’autonomia.
“Quando i ragazzi arrivano qui spesso provengono da situazione di disagio familiare che noi, cerchiamo di allentare. Come quella di Matteo”.
Matteo è un ragazzo sorridente e per niente intimorito. Anzi è un chiacchierone e racconta la sua storia con semplicità. Una semplicità diretta e, alcune volte, quasi cruda ma senza volerlo.
“Il mio babbo non c’è, perché se n’è andato quando ero piccolo. Ho lavorato in alcune mense ma non ci sono rimasto perché c’erano problemi.”
Ilaria e le altre educatrici scherzano con lui, che se la ride e risponde per le rime.
E poi spiegano che alle mense gli chiedevano un ritmo che lui non era in grado di reggere. Così crollava e si opponeva a fare qualsiasi cosa.
Uno dei punti fondamentali, oltre il lavoro che è primario, è portare i ragazzi fuori di casa: un po’ per farli diventare più indipendenti ma anche per scaricare le proprie emozioni.
“Sfogarsi a casa non è facile” continua Matteo “non c’è tempo, lo spazio e poi c’è la mamma. Per questo mi piace il teatro: mi sfogo e mi diverto tanto.”
Il teatro
Nel 2008 viene proposto alla cooperativa un progetto con il teatro: uno spettacolo con le scuole e le associazioni locali. Le cosa piacque moltissimo ai ragazzi e aveva un valore straordinario.
Il teatro insegna, in maniera diretta, il riconoscimento delle emozioni altrui, come reagire e come comportarsi davanti a queste. Tutte cose che sembrano banali ma per chi è disabile sono gli ostacoli quotidiani. Ancora più difficile è capire cosa vogliono dire le emozioni.
“Imparare cosa vuol dire la gioia, la tristezza o la rabbia. Questo insegna il teatro. Alcuni dei ragazzi non hanno mai nemmeno provato la rabbia o c’è chi ascolta solo quella”, spiega Martina.
Nel corso degli anni la cooperativa ha fatto diversi spettacoli e il crowdfunding su eppela serve a dare continuità a questo percorso.
L’esperienza teatrale migliora enormemente il rapporto dei ragazzi con il personale della cooperativa, che è fondamentale per potenziare l’autonomia dei ragazzi.
“Vogliamo fondare una compagnia teatrale intergenerazionale e interculturale. Cioè una compagnia teatrale con adolescenti, anziani e disabili dove ci sia l’opportunità di confronto” racconta Ilaria.
Chi è anziano capisce chi è giovane, chi è giovane capisce chi è anziano, chi è disabile vede cosa fanno i giovani davvero e non in tv; e via dicendo.
Il sogno sarebbe quello di fare ogni anno uno spettacolo ma non solo: dotare il laboratorio di strumenti appositi come una macchina da cucire per i costumi e gli attrezzi. Il teatro così svolge una doppia funzione: chi partecipa allo spettacolo sviluppa la sua consapevolezza e sensibilizza le altre persone.
Non dare nulla per scontato
Questo è un punto non da sottovalutare. Le educatrici della cooperativa spingono molto sul non dare per scontato la comprensione di tutti della disabilità mentale. Raccontano un episodio esemplare di come possa essere sottile e insidiosa questa superficialità.
Spesso le educatrici della cooperativa vanno a fare un po’ di volantinaggio insieme ad i ragazzi. Ai ragazzi piace molto e dà l’occasione di uscire un po’ dal laboratorio. Qualche anno fa erano andati a fare volantinaggio. Era uno di quei giorni di maggio in cui non sai come vestirti.
Erano appena usciti con il giubbotto quando il sole spunta e picchia forte. Si svestono tutti e incominciano a far ritorno verso la cooperativa per riposarsi. Ad un certo punto un passante si ferma ed esclama, indicando il ragazzo disabile: “Signorina! Ma cosa fa? Non lo vede che sta male? Gli dia qualcosa da bere no?”
L’educatrice rimase allibita. “Capite? Trattò il ragazzo con cui ero come se fosse un animale che noi portiamo a passeggio.”
Soci e abbracci
Per fortuna, in questo lavoro di sensibilizzazione, abbiamo il grande supporto della sezione soci Unicoop Firenze del Valdarno Fiorentino. Ci hanno aiutato tantissimo in questi anni e non sappiamo veramente con che parole ringraziarli. Non hanno aiutato solo noi, ma anche tante altre belle realtà che lavorano intorno al sociale in questo territorio.”
I momenti belli e di soddisfazione in una campagna di crowdfunding non mancano mai. Sicuramente la cena organizzata dai soci è stata come un grande abbraccio da tutto il territorio nei confronti non solo della cooperativa, ma anche per tutte le educatrici e tutti i ragazzi, uno per uno.
Sono stati proprio i ragazzi, tra cui anche Matteo, a ringraziare tutti insieme a Ilaria, Martina e tutto lo staff della cooperativa. La cena si è tenuta dentro la sede della sezione soci a Figline Valdarno, praticamente appena fuori dal supermercato. Il posto non è stato scelto a caso perché è stata proprio la sezione soci a proporre Lettera 8 come possibile progetto per il crowdfunding della Fondazione Il Cuore si scioglie. Una scelta di cui vanno fieri.
Vicinissimi
“Uno dei problemi dei ragazzi è la televisione: i ragazzi pensano che quella sia la realtà. Che sia così che ci si relaziona con gli altri e si deve portare avanti la propria esistenza. Spesso stanno lì ad ore perché in casa non hanno altro da fare.” Il teatro aiuta ad esorcizzare tutto questo e colloca la tv nella cornice della finzione.
Ma fondamentale è il lavoro, infatti la raccolta fondi servirà anche a potenziare gli strumenti tecnici a disposizione della cooperativa per lavorare con i ragazzi.
Il lavoro, in tutte le sue sfaccettature, diventa il motore dell’autonomia: il rapporto con gli altri ragazzi e con le educatrici, l’orgoglio di creare qualcosa e vederla compiuta nella sua interezza.L’obiettivo finale non è solo insegnare ai ragazzi a lavorare in un’azienda, ma a essere parte attiva della società.
Ha collaborato all’articolo Francesco Ricceri