Ilaria ha 35 anni quando decide di andare lontano da casa, in Repubblica Centrafricana, per fare la missionaria. È suora carmelitana e vuole aiutare gli altri con le sue competenze di medico specializzata in malattie infettive.
È il 2005 quando arriva a Bossémptelé per seguire la costruzione di un ospedale a cui dona tutta se stessa. Nel 2006 i lavori finiscono, e a inizio 2007 incominciano ad arrivare le prime attrezzature per rendere finalmente operativo l’ospedale.
Ma Ilaria non riuscirà mai a vedere l’inaugurazione: il 10 marzo di quello stesso anno, l’autista perde il controllo della sua auto e Ilaria rimane vittima dell’incidente.
Nel frattempo c’è un’altra storia, una storia legata a quella di Ilaria anche se apparentemente non lo è. È la storia di Davide.
Lui è un ragazzo introverso che ha passato un inferno a causa dell’abuso di sostanze. Va al SERT, i servizi per le tossicodipendenze, dove lo aiutano ad intraprendere un percorso per disintossicarsi. È dura, ma ce la fa.
Però non è semplice ricostruire una vita normale, sopratutto senza un’occupazione. Ma è fortunato e trova un percorso d’inserimento al lavoro che sembra fatto apposta per lui: si sta all’aria aperta, in buona compagnia e a lavorare la terra.
Alla fine del percorso non solo lo lodano, ma gli dicono:”Sei in gamba e un gran lavoratore: vuoi restare a lavorare qui con un contratto?”
Non se lo fa dire due volte e accetta. Siamo a fine 2017.
Il campo dove lavora e la cooperativa che gli offre quest’opportunità portano il nome di Ilaria. E qui le storie s’intrecciano.
Una casa per tutti
Suor Ilaria era originaria di Pontedera e non aveva avuto paura ad aiutare il prossimo, anche esponendosi a grandi rischi. Quindi quale modo migliore per ricordarla di un luogo dedicato all’aiuto delle persone svantaggiate?
“Circa nel 2013, grazie a un’idea di Massimo e di altre persone, è stato individuato questo terreno e abbiamo cominciato un percorso di costruzione: creare un luogo ospitale e di lavoro per tutti” racconta don Maurizio Gronchi, professore universitario e amico di Ilaria.
Così nasce Casa Ilaria: 12 ettari intorno alla badia di Carigi, nelle colline tra Volterra e Pontedera. Questo pezzo di vallata vuole promuovere il benessere e la qualità della vita di tutte le persone e in particolare di quelle con svantaggi fisici o psicologici, povertà ed emarginazione sociale.
Casa Ilaria sarà la casa di tutti.
“Casa Ilaria è già in funzione, il cammino è già la meta” puntualizza don Maurizio. Ed è vero.
Sulla collina dove un tempo sorgeva la badia adesso fervono i lavori dei cantieri: passo dopo passo sta nascendo un grande spazio dedicato al turismo sociale. Si sta ultimando il centro polivalente dove sarà possibile tenere conferenze, fare ginnastica, riabilitazione e molto altro.
Ma quando si dice che Casa Ilaria è già partita ci si riferisce ad altro: alla cappella dei santi Ippolito e Cassiano, inaugurata a marzo 2017, e all’attività di agricoltura sociale.
“Dopo aver portato sulla carta l’idea che avevamo in testa, ci siamo resi conto che non era possibile avviare tutto insieme. Così abbiamo suddiviso il progetto in moduli” spiega Massimo Bettini, coordinatore del progetto. In questo modo hanno scelto di iniziare per prima cosa a tracciare l’orto e mettere su i primi cantieri.
Un luogo di rinascita
Infatti a Casa Ilaria si potranno fare tante cose.
Tutta la struttura principale sarà dedicata al turismo sociale con una decina camere, alcuni mini appartamenti e il servizio di ristorazione e catering.
Ma attenzione, non significa che questo sarà un resort, anzi. Questi spazi saranno riservati anche a persone, famiglie o gruppi provenienti da comunità, centri di accoglienza.
Poi c’è l’altro grande cuore di Casa Ilaria: l’agricoltura sociale e biologica.
Un grande orto già in produzione con le sue verdure in vendita a Pisa e Pontedera. Nel frattempo stanno preparando un ettaro di alberi da frutto, una coltivazione di piante officinali e una produzione di miele biologico. Tutto questo sarà accompagnato da un settore di trasformazione di questi prodotti grezzi: un laboratorio per marmellate, confetture, erbe e verdure cotte, sottolio, essiccazione, salse e così via. E anche uno spazio dedicato alla produzione di oli essenziali, erbe essiccate e saponi.
L’orto, i laboratori, l’ospitalità e la ristorazione saranno curati da soggetti in difficoltà, inserite in apposito percorso lavorativo
Persone con disabilità fisiche o mentali, tossicodipendenza, ex-carcerati, ma anche disoccupati di lungo periodo e anziani in situazione di povertà. Ovviamente seguiti da educatori e specialisti.
“Qui risorgeranno persone con problemi” chiarisce don Maurizio.
A questo si aggiungono le attività di ippoterapia, dei laboratori artistici come danza, pittura o teatro e della pet therapy, seguite da équipe specializzate. Inoltre sarà costruita una biopiscina con fitodepurazione, accessibile a tutti i tipi di disabilità e riscaldata. A questo si affiancano gli spazi per fare ginnastica e yoga.
Ogni zona e spazio di Casa Ilaria sarà completamente accessibile a tutti i tipi di disabilità.
Le persone fanno la casa
Alla base di tutto questo c’è stata la scintilla iniziale dell’associazione Noi per l’Africa e il Mondo, con cui era partita anche Ilaria per fare l’ospedale. Da allora sono nate la cooperativa agricola Casa Ilaria, il braccio operativo, e la fondazione Casa Ilaria, proprietaria del terreno e degli immobili. Ma sono le persone a fare tutto.
“Il primo gruppetto di volontari di Casa Ilaria erano dei sognatori con i piedi nel fango” racconta con un sorriso Laura Capantini, presidente della fondazione Casa Ilaria “con lo stesso spirito con cui abbiamo fatto un ospedale in Africa, abbiamo voluto fare Casa Ilaria.”
Ma presto non sono venuti a mancare gli aiuti
“In questi anni si è formato un gruppo di una cinquantina di professionisti che prestano la loro opera a titolo volontario:architetti, ingegneri, geologi, agronomi” spiega don Maurizio. Come Irene Giorgi, che partecipa fin dall’inizio, ora pensionata ma prima docente all’Università di Pisa nel corso di laurea in farmacia. Adesso segue la vendita dei prodotti della cooperativa e presto si occuperà anche della produzione officinale di Casa Ilaria. Poi c’è l’architetto Paolo Boschi, che sta progettando tutto il complesso, e il ristoratore Simone Brogi, che ha messo a disposizione il suo ristorante il Cavatappi per un percorso di formazione per i ragazzi autistici.
“Sono arrivato a progetto iniziato ed subito ho capito che era una cosa da non lasciar perdere” racconta Simone “un’opportunità per me e per le persone che mi seguiranno in quest’avventura. Penso che sia una cosa nobile aiutare e sostenere le persone più deboli e bisognose.”
Anche i rapporti di vicinato sono buoni “grazie all’amministrazione comunale” precisa don Maurizio. Dagli agricoltori ai produttori di vino fino ai semplici curiosi, tutti sono benvenuti e anzi richiesti: per venire alla messa mensile nella cappella di Casa Ilaria, per dare una mano oppure semplicemente guardare come procedono i lavori e fare colazione.
“Abbiamo un territorio che ci segue” spiega entusiasta don Maurizio.
Mille anni al mondo e mille ancora
Tra il torrente Roglio e la collina di Montefoscoli c’è sempre stato un luogo, un qualcosa che univa le persone. Già nel lontano XI secolo una badia sorgeva sulla collina, la badia di Carigi. Il nome deriva forse dal primo abate, Carisio, di cui si trova ogni tanto menzione nel corso della storia.
Questa badia ha visto diverse stagioni: prima donata agli eremiti di Camaldoli poi, qualche secolo dopo, arrivò ai Benedettini di Santa Flora di Arezzo infine alle monache Brigidiane del Paradiso in Pian di Ripoli, vicino Firenze.
Quando queste si ritrovarono senza più risorse, la badia venne rilevata da alcuni nobili.
“Quando l’abbiamo trovata era una vecchia cascina leopoldina a pianta quadrata con sotto una cantina e delle stalle” ricorda don Maurizio. C’era un piano nobile dove abitava la famiglia proprietaria e in cima la colombaia, che era utilizzata per tenere caratelli del vin santo.
Probabilmente in tutta la sua storia, non è mai stata una struttura nobile, la sua vocazione agricola è sempre stata dominante, ma di grande cura.
L’ultimo proprietario si è dovuto ritirare quando un fulmine ha colpito l’altana facendola crollare. “Lui stesso si è salvato per miracolo” spiega don Maurizio.
Cogita et labora
Ma alla vecchia badia non si resta con le mani in mano. Cinzia Cella segue il lavoro giornaliero da vicino, sporcandosi le mani lei stessa.
“Sono da poco presidente della cooperativa” racconta Cinzia “sono arrivata a Casa Ilaria come volontaria l’anno scorso. C’erano ancora tante piantine da sistemare e servivano dei volontari. La cosa mi ha appassionato molto.”
Cinzia è stata per 10 anni educatrice in provincia di Cremona. “Questo non è assistenzialismo” spiega seria “si aiutano le persone con le proprie forze. C’è tanta accoglienza e il clima è molto bello.”
Ma il lavoro è preso con grande diligenza: ogni lunedì facciamo una riunione alle 8.30 per fare il punto della situazione tra quelli che lavorano all’orto, come lo chiamano loro, e chi lavora ai cantieri.
“Si rispettano le idee di tutti e c’è parità di ruoli proporzionalmente alle abilità che si ha” chiarisce Cinzia. Così decidono cosa c’è da fare, chi lo farà e iniziano a lavorare.
Adesso devono fare i trapianti, preparare il terreno estirpando le piante estive, innaffiare e via dicendo. Poi verso le 11 fanno la pausa. “È un momento per riposarci ma anche un momento di socializzazione e fare gruppo” continua Cinzia “siamo tutti insieme ci accettiamo nei nostri caratteri e fragilità. Si può andare avanti uniti.”
Poi c’è chi si ferma la mattina e chi invece continua dopo il pranzo.
Durante il resto della settimana invece fanno due mattine di raccolta e due pomeriggi di vendita, aiutati anche dall’agronoma Linda per la gestione di tutto l’orto.
Mettere insieme il particolare nell’universale
Ogni tanto ci sono anche degli incontri di formazione dove tutti i lavoratori, collaboratori e volontari di Casa Ilaria si ritrovano.
“Prima c’è una relazione dalla presidente della fondazione o da altre persone che danno un contributo formativo” spiega Don Maurizio “nel futuro vorremmo fare anche una cattedra della fragilità. Non ci sono solo le mani che lavorano ma anche menti che pensano. Vogliamo mettere a frutto tutte le abilità. Chiunque può dare un contributo e tutti si arricchiscono della sua particolarità. Si mettono insieme le particolarità nell’universalità.”
Dare una mano
La campagna di crowdfunding di Pensati con il Cuore, organizzata dalla Fondazione Il Cuore si scioglie, sosterrà proprio questa particolare alchimia di Casa Ilaria.
Verranno finanziate tre serre da 100 metri quadrati l’una.
“In queste serre potremmo lavorare anche d’inverno” chiarisce Cinzia “ora dobbiamo sottostare ad una produzione ridotta. Inoltre vorremmo fare anche una sorta di semenzaio, così da usare le nostre piante, e una zona dedicata alle piante officinali.”
“Una delle tre serre” interviene Linda l’agronoma “è stata pensata con un attrezzatura per poter essere utilizzata da persone con disabilità.”
“Il significato del crowdfunding non è solo di carattere economico” spiega don Maurizio “a noi interessa che molte persone vengano a conoscenza di quello che facciamo. Desideriamo che si stabiliscano legami e reti di persone. Abbiamo bisogno di persone a cui si sciolga il cuore.”
Un ruolo importante in questo percorso è quello ricoperto dalla sezione soci Unicoop Firenze della Valdera che ha scelto il progetto e lo sta sostenendo per raggiungere l’obiettivo cercando di fare rete sul territorio: al pranzo del 30 settembre, tenutosi presso circolo La Primavera di Forcoli, c’erano olre 250 persone.
Una storia che non finisce
Alla fine di questa storia, questa fetta di valle tornerà ad essere uno dei cuori pulsanti del territorio. Come a detto Laura Capantini:“Le storie e le vite di tante persone convergono su questa collina.”
Ha collaborato all’articolo Francesco Ricceri