L’abbiamo incontrata all’ultimo festival di Cannes. Sorridente, serena, come l’abbiamo vista quasi sempre, nel corso di tanti anni. Come se avesse il segreto della serenità, della pienezza della vita.
Stefania Sandrelli ha 78 anni; in Parthenope di Paolo Sorrentino, in uscita in autunno in Italia, interpreta la protagonista, la Parthenope del titolo, quando in età adulta, docente universitaria, amata dai suoi studenti, si volta a guardare, indietro, tutta la sua vita. La sua vita di donna libera. E libera lo è stata davvero, per tutta la vita, Stefania. Fin da quando ha scelto il cinema, o si è lasciata scegliere. «Il cinema lo facevo già, con il mio fratellone Sergio, di sette anni più grande di me. Ero la sua attrice preferita. Per me è stato quello il vero inizio di tutto», dice.
Giravate con una piccola cinepresa?
Sì. Sergio era lo sceneggiatore, l’operatore e il regista. Abbiamo fatto un Dracula meraviglioso, che forse è ancora da qualche parte in soffitta… Io in realtà volevo fare la ballerina: poi un fotografo, sulla spiaggia di Viareggio, mi scattò delle foto. Queste foto finirono in una rivista, e la rivista finì nelle mani di Pietro Germi, il regista, che mi chiamò a Roma per un provino.
Il resto, è venuto da sé, in modo travolgente. Come l’amore per Gino Paoli. «Sono stata io a sceglierlo – dice -. Passavo davanti alla cucina, e mia mamma stava guardando in tv questo ragazzo dall’aria triste, con degli occhialoni da vista enormi, che cantava C’era una volta una gatta. Era brutto, ma l’ho trovato bellissimo, me ne sono subito innamorata».
A sedici anni, nel 1962, inizia la relazione con Gino Paoli. Nel 1964 nasce la loro figlia, Amanda. Intanto, Stefania nel 1961 era già famosa: aveva interpretato Divorzio all’italiana, nel ruolo della cugina adolescente che fa perdere la testa a Marcello Mastroianni, diretta da Pietro Germi. Il film vince il premio come miglior commedia al festival di Cannes, e conquista un Oscar per la miglior sceneggiatura originale.
Innumerevoli i film interpretati, da allora. Centodieci, se li conti, ma forse sono di più. E innumerevoli i premi, fra cui un Leone d’oro alla carriera. A Lucca, lo scorso settembre, Stefania ha ricevuto il Women in Cinema Award. E per le donne ha sempre combattuto. «È una questione di civiltà, lottare per l’affermazione delle donne nel cinema e, cosa più importante, in tutta la società», dice Stefania.
Un premio dedicato alle donne nel cinema. Qual è la battaglia che devono combattere, oggi?
Cominciamo da quella per uguali salari. Gli attori uomini sono sempre stati pagati il doppio delle attrici. E anche nella società, ancora le donne non hanno quello che meritano.
Quale artista, secondo lei, ha saputo raccontare le donne rispettandole, amandole?
Mi viene in mente, prima che un regista, un grande musicista: Giacomo Puccini. Mio nonno era amico di Puccini, mi faceva sempre sentire le arie d’opera. Ecco, per me Puccini è un uomo modernissimo. Ha mostrato di capire l’anima più profonda delle donne.
E al cinema?
Antonio Pietrangeli, il regista di Io la conoscevo bene. È stato il primo regista a raccontare, in pieni anni ‘60, una donna con tutte le sue sfaccettature, che vive la sua vita senza giudicare gli altri. E ha affidato quel personaggio meraviglioso a me.
Ha lavorato con tutti i più grandi attori: chi ricorda con maggiore emozione?
Ogni tanto, quando sono triste, rileggo un biglietto che mi ha scritto Jean-Louis Trintignant ai tempi del Conformista: «Tu sei come il mare. Ti rinnovi, ti ritiri e poi ritorni sempre». Ogni volta che lo leggo, gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Qual è la sua filosofia di vita?
È un atteggiamento verso la vita, e in questo sono simile a Gino Paoli. Non aspettarsi niente, mai, ed essere sempre contenti, perché tutto quello che capita è un regalo!