Autunno caldo. Un titolo giornalistico coniato a fine anni ‘60 per le manifestazioni degli operai: a fronte di un’economia con un andamento sostanzialmente positivo, i lavoratori chiedevano maggiori tutele e aumenti di stipendio. Oggi, davanti al raffreddamento delle speranze di crescita post pandemiche, l’autunno che abbiamo davanti si prospetta a rischio di “ondate di calore”, tanto per continuare con la metafora climatica.
La fotografia scattata dal Rapporto Coop 2023, presentato agli inizi di settembre, è infatti quella di un Paese inquieto (il 30% si dichiara così, +6% sul 2022) e dove crescono i timori (dal 20 al 32%), dovuti alla fatale concomitanza di un’inflazione che ha molto galoppato, mentre i salari sono immobili da anni: negli ultimi due il potere di acquisto è stato eroso di 6700 euro pro-capite. Così i carrelli sono diventati leggerissimi e solo un italiano su quattro afferma di fare la stessa vita di qualche anno fa.
Lavoro che non paga
«Le difficoltà economiche mordono la carne viva della classe media – sintetizza Albino Russo, direttore generale di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop), responsabile della ricerca -. Nei prossimi mesi le intenzioni di spesa dei consumatori vedono un 36% che intende ridurre i consumi e solo l’11% pensa di aumentarli. Scontiamo il peso di un lavoro che, da anni, è povero, tanto che ora solo metà degli italiani può permettersi una spesa imprevista di duemila euro. Quando si rompe la macchina o la lavatrice è un problema serio».
Se infatti il 2023 segna un record di occupati (23,5 milioni, mai così tanti dal 2008), spesso si tratta di un lavoro che non paga quanto dovrebbe. Il 70% di chi lavora si ritiene malpagato e dichiara che avrebbe bisogno almeno di un’altra mensilità aggiuntiva, per condurre una vita dignitosa.
Il carovita ha trascinato quasi la metà degli italiani (27 milioni di persone, in crescita del 50% rispetto al 2021) in una condizione di disagio duraturo. Ha dovuto quindi rinunciare a uno standard di vita ritenuto accettabile in almeno un ambito: cibo, salute, casa, mobilità, tecnologia, socialità e intrattenimento. «Non posso più permettermi neppure…» è la frase che accomuna queste persone. Infatti il 23% fa l’equilibrista fra le diverse spese, temendo costantemente di non farcela.
E fa certamente impressione il dato, 10% degli intervistati, di coloro che dichiarano di non riuscire ad arrivare a fine mese. I più penalizzati? Donne e giovani. «La generazione Z (18-34 anni) – spiega il rapporto – vive in una sorta di apartheid in termini retributivi, e non solo»: a parità di inquadramento, un giovane italiano guadagna quasi la metà di un over 50. «Non stupisce allora se il 40% di loro si immagina di vivere altrove da qui a 2-3 anni e il 20% sta già progettando di farlo» aggiunge Russo.
Vuoto ma pesante
Le rinunce si fanno sentire nel carrello della spesa (sempre più vuoto ma pesante sul portafogli), campione di rincari negli ultimi anni. Scendono le quantità acquistate (-3% nei primi 7 mesi di quest’anno), la spesa diventa sempre più frequente per abbattere gli sprechi e si preferiscono i prodotti a marchio del distributore. A salvare l’economia familiare sono proprio loro (come i prodotti a marchio Coop), tanto che 8 italiani su 10 dicono che ne acquisteranno di più. E avanza il popolo dei discount, anche a scapito della varietà e della qualità dell’alimentazione, visto che 1 italiano su 5 dichiara di aver perso ogni riferimento identitario, rompendo a tavola i legami con la tradizione, il territorio e le tipicità.
«I redditi sono insufficienti e le famiglie sono impoverite da un’inflazione mai vista – conferma Maura Latini, presidente di Coop Italia -. Ma la soluzione non può essere il discount, cioè un carrello semplificato, che rischia di modificare l’assetto produttivo del nostro Paese e della sua industria agroalimentare. Il punto è che il lavoro deve tornare a essere un motore chiave dell’economia italiana e bisogna recuperare produttività per cambiare la situazione».
Toscana meno felix
Anche la nostra regione, non più felix come una ventina di anni fa, registra dati che fanno riflettere e richiedono interventi su scala nazionale. Se la povertà assoluta dal 2021 al 2022 pare in calo – dal 5,1 al 4,2% per merito degli interventi pubblici legati al Covid, altrimenti nel 2022 il dato sarebbe stato del 5,8% -, cresce però il numero di chi vive in povertà relativa (fonte: Rapporto sulle povertà e l’inclusione sociale in Toscana anno 2022. Osservatorio sociale regionale).
Secondo un’indagine dell’Irpet il 10% delle famiglie toscane, in linea con il dato nazionale, arriva con grande difficoltà alla fine del mese, nel 2021 era il 2%. Una situazione che riguarda particolarmente famiglie con figli, soprattutto se c’è un solo genitore (25,3%). Minore è l’incidenza sugli anziani, soprattutto se hanno la fortuna di superare i 65 anni in coppia.
«È paradossale che quella che dovrebbe rappresentare una ricchezza, cioè la presenza di minori, sia invece un elemento che genera povertà – interviene l’assessore regionale al Welfare della Regione Toscana, Serena Spinelli -. Gli anziani, grazie alla sicurezza che pensioni, seppur basse, ancora garantiscono, riescono generalmente a vivere in maniera relativamente più agiata. Ma se interviene una malattia, i costi che le cure possono richiedere rompono questo fragile equilibrio anche per loro».
E infatti il 24% delle famiglie toscane dichiara di avere problemi nel pagamento delle spese relative alla salute, come farmaci e visite mediche non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre, il 16% dichiara di non avere risorse per mangiare carne o pesce almeno una volta ogni due giorni, il 21% non può permettersi di riscaldare adeguatamente la propria casa, il 18% fa fatica con il pagamento delle spese di trasporto.
Disagio economico: non più solo stranieri
Il 40% dei casi presi in carico dal Seus (Servizio di emergenza urgenza sociale) della Toscana riguarda problematiche di povertà di stranieri, soprattutto minori non accompagnati e senza dimora. Ma la fascia di persone che ha bisogno di servizi essenziali comprende sempre più spesso famiglie italiane, come conferma anche l’elemosiniere del papa, Konrad Krajewski. Con l’Elemosineria apostolica del Vaticano, che dipende direttamente da papa Francesco, la Fondazione Il Cuore si scioglie ha avviato una collaborazione che dura dal 2019 e che porta in Vaticano più volte l’anno un tir carico di beni di prima necessità.
«La distribuzione di questi beni – spiega Krajewski – in Italia avviene attraverso le parrocchie, che riescono a individuare le famiglie bisognose. Prima si trattava soprattutto di stranieri, ma oggi chi arriva con i barconi cerca di lasciare l’Italia e di andare verso il nord Europa, mentre sempre più spesso i parroci indicano come destinatari degli aiuti famiglie italiane. Iniziative come quella della Fondazione Il Cuore si scioglie sono molto importanti e speriamo che la collaborazione prosegua nel tempo, in modo strutturato».