Ottant’anni fa si concludeva la Seconda guerra mondiale in Europa e si prospettava un futuro di speranza e di pace. Anche grazie alla nascita delle organizzazioni transnazionali come l’Onu e poi in seguito l’Unione europea.
Oggi invece abbiamo di fronte un mondo in crisi, caratterizzato da relazioni conflittuali fra gli Stati e da venti di guerra che soffiano così vicini come mai prima. Perché siamo arrivati a questo punto?
Ne abbiamo discusso con Federico Romero, già docente di Storia americana dell’Università di Firenze e professore emerito dell’Istituto universitario europeo: «Quello attuale è un mondo in disordine ed è sotto gli occhi di tutti come mai prima di ora» dichiara.
Neppure ai tempi della guerra fredda?
Allora lo schema era ben chiaro, bipolare e con le forze ben schierate dalle due parti. Inoltre, il peso di organizzazioni come le Nazioni Unite era maggiore di adesso: dopo la guerra furono gli Usa e i Paesi europei a volerle e a farle diventare dei pilastri del sistema internazionale. Ora queste istituzioni sono in crisi ed è più frammentato il controllo sulle possibili fonti di conflitto.
Come siamo arrivati al disordine odierno?
Ci sono delle radici più recenti che risiedono nelle scelte politiche della presidenza Trump delle ultime settimane, ad esempio con la guerra globale dei dazi per reimpadronirsi di risorse che, a suo dire, gli altri avrebbero guadagnato attraverso il commercio. O con le dichiarazioni di non volersi attenere alle norme internazionali, destituendo di potere le organizzazioni costituite in questi ottanta-cento anni. O ancora con quelle dichiarazioni che manifestano la volontà di impadronirsi della Groenlandia, di controllare Panama e magari di assorbire il Canada.
Quali sono invece le radici più antiche della crisi?
Gli storici si domandano se e quanto abbia fallito il sistema della globalizzazione liberista costruito dopo il 1989, quali siano stati gli strascichi della crisi finanziaria e dell’austerità del 2007-2008, quanto incida l’aumento della forbice delle disuguaglianze nella società, mentre un’élite economico-finanziaria e tecnologica è sempre più ricca e potente. C’è da considerare poi il peso delle nuove potenze mondiali asiatiche come la Cina e l’India, che si sono molto arricchite negli ultimi trent’anni, mentre nel mondo occidentale la ricchezza è diminuita.
Oggi siamo di fronte a un mondo multipolare: perché è più pericoloso?
Perché ci sono più antagonismi, perché gli Stati vogliono primeggiare e non più cooperare. Non è la collaborazione mediata da istituzioni internazionali che interessa, ma l’affermazione della propria potenza. I sovranismi che si sono imposti, più o meno democraticamente, in molti Paesi stanno esercitando politiche per comandare sugli altri, più piccoli e più deboli, con i dazi o con le armi. Le guerre in corso ne sono l’emblema: quella della Russia contro l’Ucraina è durata così a lungo, perché è la guerra stessa a dare potere alla Russia sulla scena internazionale.
Lei è molto critico, può darci qualche motivo di speranza?
La situazione attuale non può che essere valutata negativamente e non so quali saranno gli sviluppi. Ci aspettano quattro anni di Trump che sta costruendo un regime destinato a diventare autosufficiente rispetto alle istituzioni statunitensi. Quanto avvenuto 80 anni fa dovrebbe farci capire l’importanza di ragionare in termini di collaborazione e non di competizione, comprendendo che le relazioni internazionali e le organizzazioni erano state costruite come pilastri positivi essenziali per evitare grandi guerre e per garantire il benessere economico e sociale di tutte le popolazioni. È questa la lezione da imparare.
Il prof. Federico Romero è uno dei relatori del convegno “1945. La guerra è finita?” in programma l’8 e il 9 maggio 2025, a Firenze (Spazio Alfieri) e Scandicci (Centro Rogers). Organizzato dall’Istituto storico della Resistenza e Spi Cgil, con il contributo di Unicoop Firenze, è aperto a chiunque voglia saperne di più non solo della storia passata, ma anche di quello che stiamo vivendo.