Il 5 febbraio è la “Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare”. Fabio Iraldo, docente di Management della Sostenibilità della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha guidato un’indagine fra i produttori di alimenti “made in Italy” ed è emerso che nel 2021, anche a causa dei lockdown, per il 35% di essi vi è stato un aumento di spreco alimentare.
I settori dei prodotti freschi e delle bevande sono risultati i più colpiti dall’aumento dello spreco, ma anche quelli caseari e della panificazione. Dai dati pubblicati a ottobre 2021 dalla Commissione Europea – Joint Research Center, risulta che ogni anno in Italia si sprecano 270 milioni di tonnellate di cibo. Il Food Waste Index 2021 delle Nazioni Unite ha quantificato in circa 1 miliardo di tonnellate il cibo che ogni anno è sprecato nel mondo.
Lo spreco è una delle forme più evidenti di diseguaglianze, tanto più che – secondo dati Onu – se nel 2019 le persone denutrite erano 690 milioni, nel 2020 sono aumentate di 132 milioni.
Le implicazioni dello spreco alimentare non sono solo di tipo etico, ma anche ambientali: «Secondo i dati Unep 2021 – spiega Iraldo -, l’8-10% delle emissioni globali di gas serra è associato al cibo che non viene consumato. Si calcola che nel mondo la produzione e il consumo degli alimenti sia responsabile di oltre il 35% dell’impatto ambientale complessivo, quasi doppio rispetto ai trasporti. Non è un caso dunque che il problema sia in cima alle agende delle politiche ambientali quando si parla anche di utilizzo di risorse idriche, di consumo del suolo e di depauperamento delle risorse energetiche non rinnovabili».
La filiera dello spreco
«Dalle nostre ricerche, confermate anche da altri studi internazionali, emerge che in ambito domestico si spreca il 10-15% di quanto acquistato, mentre il settore della ristorazione e quello del commercio sprecano rispettivamente il 5% e il 2%. A livello globale, ogni persona getta 121 chili di cibo all’anno, 74 solo in casa. In Italia, sommando la tavola di famiglia e del ristorante, il 68% dei rifiuti alimentari è generato dai consumatori, contro un 32% della filiera produttiva. Questa stima è in linea con quanto avviene anche negli altri 27 Paesi europei» precisa Iraldo.
Le principali cause
Le principali cause dello spreco vanno ricercate nel modo in cui facciamo la spesa, nella preparazione dei pasti, nel comportamento a tavola e nella gestione delle eccedenze, sia a casa che fuori casa.
«La cultura gastronomica italiana in questo non ci favorisce: ci sono poche porzioni ridotte nei menù dei ristoranti, poca rilavorazione degli avanzi nelle ricette, poca diffusione della cosiddetta doggy bag (letteralmente “la vaschetta per il cane”, ossia il cibo avanzato che ti puoi portare a casa, ndr).
Inoltre, sulla gestione e donazione delle eccedenze alimentari servirebbero linee guida più semplici. Un peccato perché per ogni chilo di carne non sprecato, ad esempio, si potrebbero ridurre le emissioni di CO₂ di più di 10 kg» conclude il professore.