«Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione»” (Pablo Picasso).
Le parole dell’artista catturano la realtà economica più delle parole di qualsiasi economista o imprenditore. C’è molta miseria e distruzione con il Covid. Lo sentiamo tutti. Ci ferisce culturalmente, psicologicamente ed economicamente. Sembra di essere in guerra. E nel caso dell’Italia, questa è stata una guerra che ha ucciso oltre 100.000 persone.
L’Italia, però, è al meglio quando esce da una crisi. L’ultima volta in cui c’è stato un livello di distruzione paragonabile a quello che stiamo vivendo col Covid è stata la seconda guerra mondiale. L’Italia non era un Paese potente economicamente, quando entrò nel conflitto. La sua economia era ancora basata sull’agricoltura locale e non era competitiva con Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, le potenze industriali europee dell’epoca. Fu solo dopo la distruzione causata dalla guerra che l’economia italiana crebbe, in un periodo di potente “creazione”, sulla falsariga di quanto descritto da Picasso. Fu allora che emerse l’Italia industriale e i prodotti italiani, dall’elettronica all’automobilistica, che grazie all’esportazione iniziarono ad avere voce in capitolo nei mercati globali.
L’Italia si trova a fronteggiare oggi una crisi simile, ma ha davanti anche una simile opportunità. Il dinamismo della sua economia è rimasto stagnante per più di un decennio. Gran parte della ricchezza e della creazione di posti di lavoro derivanti dalla digitalizzazione non ha giovato all’Italia. La disuguaglianza, che sta aumentando in molti Paesi occidentali, compreso il mio Paese d’origine, gli Stati Uniti, è particolarmente forte qui, con un divario crescente fra il nord e il sud e attraverso i confini di classefra le classi sociali.
La forma della ripresa
Quando si fanno ipotesi sulle caratteristiche della ripresa italiana, è mia convinzione che non ci sarà una ripresa uniforme per tutto il Paese, piuttosto la forma che prenderanno i vari settori dell’economia dipenderà dal settore e dalle capacità personali. Per le imprese digitali e le persone con competenze digitali la forma della ripresa è già stata modellata come una V (ripresa economica veloce e immediata, ndr). Con la rapida accelerazione della digitalizzazione durante la pandemia, quei modelli di business si sono subito ripresi e sono diventati più forti che mai, e le competenze digitali sempre più ricercate. Per la maggior parte delle aziende tradizionali, la speranza è che la ripresa abbia la forma di una U (più rallentata ma destinata a crescere nel lungo periodo, ndr): dopo oltre un anno di stagnazione, potrebbe esserci una risalita, nella seconda metà del 2021, forse fino al 4° trimestre. La prospettiva più spaventosa avrà la forma della lettera L (nessuna ripresa, ndr): riguarderà aziende i cui modelli non possono riprendersi dal Covid, o individui che non hanno le capacità per resistere alla natura mutevole dell’economia. La speranza è che il numero di questi mancati recuperi a forma di L sia molto basso.
L’investimento di oltre 200 miliardi di euro dell’Unione europea in Italia, attraverso il Recovery Fund, rappresenta un’opportunità per rinvigorire l’economia italiana, riducendo al contempo le disuguaglianze, producendo più recuperi a forma di U e meno recuperi situazioni a forma di L. È un’opportunità da non perdere, perché non ce ne sarà un’altra come questa nei prossimi dieci anni. L’utilizzo dei fondi deve essere strategico come lo fu quello del Piano Marshall degli Stati Uniti, che ha stimolato la ricostruzione dell’Italia nel secondo dopoguerra.
Il precedente americano
All’epoca in cui lavoravo per Barack Obama, ho avuto un’esperienza diretta di ciò che funziona e di ciò che non funziona, grazie all’esperienza del nostro massiccio pacchetto di ripresa economica. L’Italia non deve fare gli stessi errori che abbiamo fatto noi. I nostri programmi economici hanno salvato l’economia, ma anche preservato il sistema esistente. Abbiamo salvato istituzioni come le banche, ma non abbiamo salvato le persone, e troppi dei nostri investimenti si sono concentrati sulla ripresa a breve termine, non sulla prospettiva a lungo termine. Abbiamo preservato un sistema che stava già aumentando la disuguaglianza e i nostri investimenti hanno accelerato quel processo. La gente guardava ai bassi livelli di disoccupazione e all’aumento del Gdp (Pil) e ci diceva che eravamo dei geni.
Ciò che quei numeri nascondevano, tuttavia, era che mentre le persone erano impiegate, i loro salari erano stagnanti. Inoltre, con l’obiettivo di migliorare rapidamente l’economia, abbiamo investito in programmi che davano uno stimolo a breve termine all’economia, ma abbiamo fatto troppo pochi investimenti in aree che avrebbero richiesto più tempo per mostrare benefici, ma che sarebbero risultati più duraturi e prolungati nel tempo.
Investire in settori come l’istruzione e la ricerca, i trasporti, i servizi sanitari e lo sviluppo di un’economia verde può richiedere più tempo per l’implementazione e inizialmente ci sono meno persone e istituzioni che ne beneficiano, ma possono essere la base per una crescita strutturale a lungo termine di cui l’Italia ha bisogno più che di una spinta a breve termine che potrebbe apparire e poi scomparire.
È interessante notare che, dopo anche seche l’amministrazione Obama ha investito più di 700 miliardi di dollari, la disuguaglianza è peggiorata. Lo stesso potrebbe accadere in Italia se non stiamo attenti.
Salario minimo e il valore della cooperazione
Per fare il contrario – ridurre effettivamente la disuguaglianza -, ci sono alcune strategie che consiglierei al governo italiano. Innanzitutto, assicurare un salario minimo elevato per tutti i posti di lavoro prodotti dai progetti del Recovery Fund. Secondo, cercare di includere le “imprese cooperative” per sostenere una crescita basata su diritti e uguaglianza. In terzo luogo, assicurarsi che gli investimenti raggiungano anche il sud, anche se ciò significa dispiegare le risorse più lentamente di quanto sarebbe possibile nel nord.
La mancanza di moderne infrastrutture di trasporto nell’Italia meridionale le sta facendo perdere terreno a favore di Spagna, Croazia e persino Marocco e Israele nelle catene di approvvigionamento globali, nonostante il posizionamento strategico dell’Italia meridionale nel Mediterraneo. Quarto, investire nell’istruzione, compresa la ricerca. L’Italia non vincerà mai nell’economia globale perché produce beni o servizi a minor costo. No, l’Italia vince per specializzazione e alta qualità.
Mentre l’economia si evolve solo se basata su tecnologia e conoscenza, dobbiamo fare di più per trattenere i nostri studenti e ricercatori migliori, per garantire che non debbano partire per gli Stati Uniti, il Regno Unito o la Germania per completare la loro ricerca e per metterla a frutto.
Per l’Italia, non sarà il più forte a sopravvivere, né il più intelligente, ma il più adattabile al cambiamento.
Alec Ross
Alec Ross è Distinguished Visiting Professor alla Bologna Business School e autore del best-seller Il nostro futuro, tradotto in 24 lingue. I suoi articoli sono stati pubblicati sul “The Wall Street Journal” e “Foreign Policy”. Durante l’amministrazione Obama, è stato consulente senior per l’innovazione del Segretario di Stato, un ruolo creato ad hoc per modernizzare i processi diplomatici e per potenziare le aree di sviluppo nella politica estera degli Stati Uniti.