Il mondo del lavoro in questi anni è profondamente cambiato e non si può dire che lo abbia fatto in meglio. Se trenta o quaranta anni fa avessimo chiesto a qualcuno per strada di dirci in poche parole chi fosse, probabilmente ci avrebbe detto “sono una infermiera”, “sono un fornaio”, “sono un insegnante”, e così via. Una distanza siderale con l’Italia di oggi, in cui il 45% degli occupati dichiara che vorrebbe cambiare lavoro e le dimissioni volontarie sono oltre 2 milioni l’anno.
La società dei consumi ha avuto effetti profondi su tutti noi e siamo diventati per prima cosa consumatori di beni e servizi. Spesso ci identifichiamo di più con la marca del nostro telefono che attraverso il lavoro che facciamo. È il risultato di un Paese che ha raggiunto un alto livello di benessere, ma in cui la trasformazione del ruolo del lavoro sta causando una profonda crisi economica e sociale.
La svalutazione del lavoro si è trasformata in precarietà: non poter più contare su un impiego sicuro, in grado di garantire la serenità sufficiente a progettare una vita e ad acquisire capacità e competenze, ha come risultato quello di non far percepire un posto come “proprio”, ma solo come un luogo in cui si svolge una mansione per qualche tempo.
Una delle conseguenze di questa precarietà, sicuramente la più tragica, è il numero inaccettabile di morti sul lavoro. Nel primo bimestre del 2024 sono state 119 le vittime di questa strage, causata soprattutto dal mancato rispetto delle norme di sicurezza, spesso conseguenza dell’assenza di formazione, dovuta all’instabilità dell’impiego.
In molti casi queste morti hanno fatto aprire dei veri e propri “vasi di Pandora”, contesti in cui i lavoratori non riescono neanche a capire per quale azienda sono assunti, tra subappalti, false imprese e intermediazione di manodopera. Imprese dove, oltre all’assenza di ogni diritto, si impoveriscono anche le relazioni umane, con persone che cambiano di continuo e con cui è sempre più difficile stringere legami e colleghi con cui non si fa squadra, perché si è spinti all’iper-competizione per vedersi rinnovato il contratto.
Assistiamo alla comparsa del lavoro povero, cioè l’impossibilità di garantire una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia per colpa di uno stipendio troppo basso. Part-time involontario, contratti pirata e altri strumenti più o meno legali sono utilizzati da alcune imprese spregiudicate per ottenere un vantaggio competitivo, spingendo al ribasso le retribuzioni di tutti e impedendo una politica salariale che dia valore al lavoro.
Una nuova prospettiva
Dobbiamo partire da una nuova prospettiva: non garantire sempre più servizi a dispetto di tutto, ma mettere al centro il lavoro delle persone. Penso agli appalti pubblici, in cui non si trovano le risorse per dare dignità ai lavoratori impiegati, mentre ogni anno si introducono nuovi bonus e sovvenzioni.
Legacoop Toscana porta avanti un pensiero diverso, attraverso il lavoro delle cooperative che ne fanno parte; lo vediamo dalle scelte coraggiose che Unicoop Firenze sta facendo con campagne come “chiusi per scelta” o acquistando prodotti agricoli locali che rispettano tutti gli anelli della filiera.
Crediamo che sia fondamentale tutelare un lavoro sicuro, nel rispetto delle regole, che valorizzi le persone e che restituisca loro dignità. Di questo e di altro parleremo dal 23 al 25 maggio in piazza Santissima Annunziata, durante una tre giorni che abbiamo organizzato per festeggiare i 50 anni di Legacoop Toscana. L’intera festa è aperta alla cittadinanza: speriamo così di portare questi temi all’attenzione pubblica.