Su una poltrona c’è Marianna Aprile, la giornalista che da anni conduce insieme a Luca Telese il programma In onda su La7, sull’altra Daniela Mori, presidente del Consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze. In platea ad ascoltarle oltre 500 soci che hanno partecipato al Consiglio generale delle sezioni lo scorso 10 ottobre al Teatro Cartiere Carrara di Firenze. Cinquanta minuti di domande e risposte che hanno abbracciato temi di attualità e di storia della cooperativa: ecco un estratto.
Aprile – I primi giorni di ottobre hanno visto le piazze mobilitarsi per la pace in Palestina, la cooperativa già da tempo si era mossa per portare gli aiuti agli abitanti di Gaza, insieme alle Misericordie d’Italia: che cosa ne pensa delle piazze piene di giovani e non solo?
Mori – Quello che è accaduto a Gaza ha risvegliato in molti un sentimento profondo di giustizia, che ha portato le persone nelle strade e nelle piazze. Noi abbiamo cercato di fare per Gaza quello che era nelle nostre possibilità, inviando già lo scorso gennaio beni alimentari e non solo, che sono però arrivati a fine estate per il blocco agli aiuti umanitari. Quei beni erano stati donati dai nostri soci. Poi abbiamo aderito a una donazione da parte delle Coop a livello nazionale di 500.000 euro a Medici senza frontiere, che era l’unico presidio rimasto sul territorio. Se si verificheranno le condizioni, potremmo inviare altri aiuti, ma dobbiamo essere sicuri che arrivino. Le piazze sono il segnale che la speranza sopravvive e che ognuno di noi può fare qualcosa. Questo ha molti punti di contatto con la missione della cooperazione.
Aprile – Infatti le cooperative nate nel dopoguerra avevano l’obiettivo di fornire cibo a prezzi sostenibili a chi non poteva permetterseli altrimenti. Oggi che avete circa 1 milione e 200mila soci, 157 punti vendita, quasi 10mila dipendenti, cosa fate per rimanere “cooperativa”?
Mori – Non è semplice, perché una proprietà rappresentata da oltre un milione di soci non permette ovviamente di confrontarsi con tutti e il rischio è quello di allontanarsi dai soci e dai loro bisogni. Come fare allora per tenere vivo lo spirito cooperativo? Innanzitutto impegnandoci per ravvivare le forme di partecipazione. Con il modello duale, che prevede un Consiglio di sorveglianza in rappresentanza dei soci e un Consiglio di gestione per l’attività commerciale, abbiamo voluto rafforzare la voce dei soci, cioè dei veri proprietari di Unicoop Firenze. Che viste le dimensioni raggiunte non può più esprimersi con una democrazia diretta, ma può fare affidamento sulla rappresentanza. In ogni caso è nostro dovere dare informazioni ai soci sull’andamento economico della cooperativa, rendendoli consapevoli che questo è un fatto che li riguarda.
Aprile – Questo per quanto riguarda i numeri, ma si fa a mantenere vivi i valori?
Mori – La cooperazione nasce da un’aspirazione che trova il suo primo vagito nella classe operaia, con il desiderio di trasformare le idee in un atto concreto. I valori si mantengono in vita con le azioni e le scelte. Oggi per esempio i nostri soci contribuiscono a scegliere le offerte commerciali e le promozioni, attraverso una commissione del Consiglio di sorveglianza. Questo continuo impegno per coinvolgere i soci in maniera fattiva permette di mantenere vivi i valori come quelli per cui le cooperative sono nate.
Aprile – Cosa chiedono i soci, in che modo pungolano?
Mori – I soci danno l’indirizzo, la cooperativa elabora la strategia e infine l’impresa fa le scelte economiche. Il processo è opposto a quello che guida le altre imprese private. I nostri manager devono trovare le strategie che possano rispondere ai bisogni espressi dai soci. Come impresa dobbiamo rappresentare i loro interessi. C’è chi ci chiede di essere più incisivi con gli sconti o di ridistribuire meglio gli introiti, di stare più attenti all’ambiente o alla provenienza dei prodotti. Non siamo solo un’insegna commerciale, ma rappresentiamo un mondo fatto da quasi 1 milione e 200mila persone.
Aprile – Qual è il punto di equilibrio fra una gestione economica efficiente e l’ascolto dei bisogni delle persone?
Mori – All’inizio le cooperative non facevano utili, poi questa visione è stata superata. Ma gli utili in una cooperativa non possono essere il fine ultimo, sono un mezzo. Gli utili servono per progetti che “costano”, ma che sono orientati al benessere delle persone: un esempio è l’aver eliminato completamente o in parte l’uso degli antibiotici nell’allevamento, o la plastica usa e getta dagli scaffali, per non citare tutte le iniziative per favorire la diffusione e la fruizione della cultura e dello spettacolo a prezzi vantaggiosi. Diciamo che gli utili devono servire anche a potersi permettere le scelte giuste.
Aprile – Davvero oggi c’è chi mette una sorta di “tetto” agli utili?
Mori – Tutto è legato all’idea del profitto giusto. Qual è il profitto giusto? Quello che consente a un’impresa di stare sul mercato, ma senza eccedere nei guadagni. Dal 2014 i nostri utili sono per scelta nettamente inferiori al 2%, perché parte delle entrate “ritorna” ai soci. Certo, tutto questo è reso possibile dalla solidità della cooperativa.
Aprile – Lo slogan dei cooperatori «soddisfare i bisogni senza forzare i consumi» era rivoluzionario in passato e lo è ancora di più oggi…
Mori – Uno slogan coniato durante il boom economico che ho ritrovato in un libro di Albe Steiner, l’ideatore del logo Coop. Sì, è ancora attuale. Oggi farei una piccola aggiunta e direi: «Soddisfare i bisogni, senza forzare i consumi, cercando di non sacrificare il pianeta».
Aprile – Oggi possiamo dire che l’accesso al cibo è tutto sommato garantito, però le persone rinunciano a diritti che sembravano assodati: scopriamo drammaticamente dai numeri dell’Istat che nel 2024 un italiano su 10, quindi circa 6 milioni di persone, ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria. Pensate di fare qualcosa in questo campo?
Mori – Abbiamo sempre sostenuto che allontanarsi dall’attività principale potesse rappresentare un rischio, ma rispetto ai bisogni odierni dobbiamo avere un atteggiamento diverso dal passato, perché una popolazione che rinuncia a curarsi è preoccupante. L’età media è aumentata, gli stipendi non sono cresciuti, ma il numero delle persone in difficoltà sì. Abbiamo attivato collaborazioni con le istituzioni e con il privato sociale, come la Croce Rossa, le Misericordie, le Pubbliche assistenze, stiamo cercando di portare il principio dello scambio mutualistico anche nel settore della salute, lavorando principalmente sulla prevenzione. Perché, come ha detto un nostro socio, «siamo molto più di un supermercato».
Aprile – Com’è la sua idea di società?
Mori – Vorrei che si facesse largo alle persone più giovani, che si lasciasse loro spazio per dire quello che ritengono importante, e poi però dovremmo ascoltarli, altrimenti sarebbe tutto inutile.
(a cura di Cecilia Morandi)
