Il futuro del nostro Pianeta: le riflessioni di Stefano Mancuso

Natura e clima. Il 2023 è stato l’anno più caldo da quando si fanno regolari misurazioni delle temperature. La natura è a rischio per colpa dell’uomo: dobbiamo essere consapevoli di cosa sta succedendo. Le riflessioni di Stefano Mancuso, docente dell'Università degli Studi di Firenze

Il 2023 è stato l’anno più caldo da quando si fanno regolari misurazioni delle temperature. Non un’anomalia come qualcuno ancora follemente continua a sostenere, ma una drammatica tendenza che ormai conosciamo tutti quanti perfettamente. Il clima sta cambiando per colpa dell’uomo, che sta incrementando le emissioni nell’atmosfera di CO₂, il più pericoloso dei gas climalteranti.

Un dato su tutti racconta questa rincorsa verso la distruzione della vita, si misura in parti per milione ed è la concentrazione di CO₂ in atmosfera. Dal 1990 al 2000 cresceva di una parte per milione ogni anno, dal 2000 al 2010 di 1,5 parti per milioni, dal 2010 al 2020 di quasi due parti per milione, sempre ogni anno. Addirittura, nei primi anni di questa terza decade sta crescendo intorno alle tre parti per milione.

Da molto tempo suggerisco ai direttori dei giornali di mettere accanto alla temperatura prevista per la giornata, che troviamo spesso nella testata, anche il dato della quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera. Mi rispondono che questo numero non sarebbe compreso e quindi inutile, ma non è così. Contribuirebbe invece a costruire quella consapevolezza, che ancora manca, sulla gravità del riscaldamento globale e sulle sue conseguenze sulla natura.

Oggi si usano le parole natura e ambiente come sinonimi; in realtà sono due cose molto diverse: natura viene dal latino natus ed è tutto ciò che è nato, vivo, noi umani compresi. L’ambiente, spesso usato come sinonimo, è invece il contenitore all’interno del quale la natura vive, e sono due concetti che dovremmo sempre mantenere separati. È la natura infatti che subirà le conseguenze dell’innalzamento globale delle temperature e dei cambiamenti dell’ambiente. Chi sopravvivrà se ridurremo progressivamente la diversità delle specie viventi?

Una storia di farfalle

Facciamo un passo indietro e rispolveriamo la teoria dell’evoluzione di Darwin. A differenza di quel che molti pensano, secondo il naturalista inglese non è il più forte a sopravvivere, ma il più adatto e, poiché a priori non sappiamo chi sia il più adatto, le possibilità di superare gli ostacoli che le evoluzioni ambientali ci presentano aumen- tano se le differenze tra le varie specie sono maggiori.

Una storia di farfalle lo spiega meglio di tante parole. La Biston betularia è una farfalla che vive in Gran Bretagna sul tronco delle betulle ed è generalmente bianca come i tronchi su cui si posa. Così gli uccelli non la vedono e lei sopravvive. Ogni tanto nascono farfalle nere, ma spiccano sul tronco bianco della betulla, per cui diventano facile preda per gli uccelli. Con la rivoluzione industriale una coltre di polvere nera, il famoso fumo di Londra, ricoprì via via gran parte del Paese.

Le Biston betularia bianche ebbero la stessa sorte delle loro sorelle nere, che grazie all’inquinamento invece riuscivano a mimetizzarsi e a riprodursi. In centocinquant’anni l’intera popolazione di Biston betularia inglese diventò nera. Dal 1960 la riduzione delle polveri di carbone ha riportato al colore originario molte superfici, fra le quali anche i tronchi di betulle nuovamente candidi, così come la maggioranza delle Biston betularia.

Cosa ci insegna questo aneddoto di teoria evoluzionistica? Semplicemente che maggiori sono le differenze, maggiori sono le possibilità di sopravvivenza di una specie.

Ranocchi e alberi

Sono diminuiti dal 50% al 70%, a seconda delle specie. Gli anfibi – rane, rospi, ranocchi, così comuni solo pochi anni fa – ora rischiano l’estinzione. Tutto questo è av- venuto neanche nel corso di una generazione, una manciata di anni.

Il 97% dei mammiferi che esistono oggi sul pianeta è rappresentato da uomini e animali che alleviamo per il consumo alimentare.

Davvero pensate che sia possibile per l’umanità continuare a prosperare in un mondo senza la preziosa diversità di animali e piante? La maggior parte di quello che mangiamo proviene dalle piante, da esse deriva il 70% dei principi attivi usati in medicina. Anch’esse stanno soffrendo: gli alberi sono la metà di quanti erano 12mila anni fa, all’epoca della rivoluzione agricola: da 6000 miliardi di alberi di allora ne restano 3000 miliardi, e più della metà sono stati tagliati negli ultimi due secoli, fra cui l’intera foresta primaria europea.

Il riscaldamento globale è direttamente connesso perché, se ci fossero ancora i 2000 miliardi di alberi in più presenti nel 1820, avrebbero assorbito una grande quantità della CO2 emessa dall’uomo. Così, invece, l’anidride carbonica continua ad aumentare, e di conseguenza le temperature. Rispetto all’era preindustriale, in Europa si registrano +2,2°C, in Italia +2,4°C, ma se si misura la temperatura delle città, la febbre sale di 3,6°C rispetto al 1960, a Firenze come a Milano, Roma, Napoli, Bari, Palermo.

E questi aumenti comportano non solo un innalzamento di decessi fra le persone più fragili ma anche il ripetersi di eventi catastrofici, come quelli che, secondo i numeri degli interventi della Protezione civile, crescono in maniera esponenziale e che hanno colpito recentemente anche la Toscana.

Cosa si può fare? Se è vero che i governi dovrebbero mettere in pratica delle soluzioni molto impattanti, è chiaro che ciò potrà avvenire solo se la gran parte della popolazione avrà un’idea seria di ciò che sta accadendo e chiederà un cambiamento concreto. Anche a livello locale: ad esempio, creare al posto dei viali di Firenze un anello verde, un’area pedonale ricoperta di alberi. Oggi sembra un’idea assurda, ma osservando le foto di piazza Duomo o di piazza Pitti non molti anni fa, così come di piazza Plebiscito a Napoli, non possiamo non notare con disagio le tante auto che le attraversavano. Fra qualche decennio, forse, guardando le immagini del traffico nel 2023, diremo: «Eravamo davvero dei primitivi».

Stefano Mancuso
Nella foto Stefano Mancuso

CO2 da record: 420,46 ppm

Il numero indica la concentrazione di anidride carbonica registrata nel novembre 2023 dall’Osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii, punto di riferimento a livello mondiale. Mai era stato così alto dall’epoca post industriale.

Ed è in continua ascesa: nel novembre 2022 si erano raggiunte le 417,47 parti per milione (ppm). La sua crescita ha come conseguenza l’aumento delle temperature.

L’Informatore raccoglie l’invito di Stefano Mancuso e pubblicherà ad ogni uscita del numero cartaceo il dato medio sulle emissioni di anidride carbonica nel pianeta. Una breve spiegazione del professore ci aiuterà a interpretarlo. Da febbraio lo troverete nella pagina dell’Agenda.

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