Alessandra Anichini: pari e dispari della didattica a distanza

La Dad ha riportato l'attenzione sulle disparità economiche e sociali del nostro Paese. A tu per tu con il primo ricercatore dell’Indire, Istituto nazionale documentazione, innovazione e ricerca educativa, che ha sede a Firenze

Dad, tre lettere per un incubo, quello che da marzo ha stravolto le giornate dei genitori italiani. La didattica a distanza è rimasta per mesi l’unico presidio a difesa del diritto all’istruzione di bambini e ragazzi. Poi, senza nemmeno passare dal via, tutti in vacanza. Continuando a sperare in qualcosa di più e di meglio per settembre, ci domandiamo se la Dad è stata promossa oppure no.

«Quel che è certo è che la didattica a distanza ha riportato l’attenzione sulle disparità: di tipo sociale, economico, culturale – spiega Alessandra Anichini, primo ricercatore dell’Indire, Istituto nazionale documentazione, innovazione e ricerca educativa, che ha sede a Firenze -. Una disparità che si è accentuata a causa della scarsa disponibilità della strumentazione tecnologica e per la fragilità delle infrastrutture, ma anche della diversa attitudine degli insegnanti a confrontarsi con nuove modalità educative».

Già, che voto diamo agli insegnanti?

«Abbiamo visto molti docenti mettersi in discussione e alla prova. Anche chi non aveva competenze tecnologiche ha cercato di sviluppare la relazione con gli studenti attraverso i mezzi a disposizione. Ci sono stati maestri che hanno diviso la classe in gruppetti di 5-6 alunni per poterli seguire meglio nello svolgimento delle attività: quei docenti che avevano solide competenze didattiche hanno meglio superato gli ostacoli creati dalla distanza fisica» prosegue Anichini.

Genitori che si sono improvvisati insegnanti di tecnologie digitali, bambini e ragazzi che in pochi giorni hanno dovuto apprendere tutto quello che non avrebbero immaginato di poter fare con un tablet o uno smartphone, come mandare una mail, scrivere un documento word, allegare un file e così via: «Molti studenti sono stati obbligati ad accostarsi alla tecnologia in modalità diversa da quella già conosciuta del gioco o dell’intrattenimento. Hanno imparato qualcosa di nuovo e, forse, obbligati dall’emergenza siamo riusciti a mettere a frutto il lato migliore del digitale». Che, oltre ad aver permesso la continuità didattica, ha dei lati positivi anche per lo sviluppo del pensiero: operazioni semplici come tagliare un pezzo di un testo e incollarlo da un’altra parte, creare link, usare immagini e suoni integrandoli con le parole, richiedono rielaborazioni del pensiero che risultano utili per lo sviluppo cognitivo.

Competenze digitali e tradizionali

Competenze digitali acquisite, non bisogna però dimenticare quelle tradizionali. Scrivere su un quaderno, a mano, aiuta a fissare i concetti, sottolineare una frase su un libro a non scordare elementi importanti del testo: «Il coordinamento oculo-manuale che sviluppiamo quando scriviamo con la penna o una matita su un foglio, aiuta a rendere visibile un pensiero. Creare uno schema su un quaderno è un’operazione importante per l’organizzazione dello spazio e del pensiero stesso: la scrittura a mano è espressione figurativa e di sé.

Per i bambini più piccoli imparare a digitare è più difficile che scrivere in corsivo, perché il pensiero corre più veloce e la mano con una penna è in grado di stargli dietro, non così con la tastiera» aggiunge Anichini. Anche la lettura su supporto cartaceo sembra facilitare l’apprendimento rispetto al digitale.

“Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è piu’ scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge i malati”

(Don Lorenzo Milani)

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