Anche atteggiamenti in apparenza insospettabili possono essere la spia di insicurezze, nei bambini e negli adolescenti. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Rosanna Martin, psicologa psicoterapeuta, responsabile del servizio di Psicologia Ospedaliera del Meyer di Firenze.
Come si manifestano le insicurezze di bambini e adolescenti?
Solitamente è di fronte al cambiamento delle situazioni note che il bambino manifesta la sua difficoltà. Molti bambini tendono a preferire il gioco solitario, sono infastiditi dalla confusione, timorosi di sbagliare e del giudizio altrui e per questo stanno in silenzio, si esprimono poco con le parole e con il movimento. Ma alcuni comportamenti apparentemente opposti possono essere l’altra faccia della stessa medaglia. Il bambino che non piange mai, che si separa dai genitori senza mai girarsi indietro, che manifesta atteggiamenti prepotenti con i coetanei, può covare sentimenti di insicurezza e manifestarli magari più avanti: la differenza è che in questa fase sta reagendo con eccessiva rigidità, reprimendo le proprie parti “infantili”. Ma di fatto l’insicurezza è un aspetto comune che fa parte dell’essere umano, bambino o adulto che sia. Tutti ci sentiamo piccoli di fronte a un mondo grande e complesso, figuriamoci i bambini: c’è chi lo mostra e chi lo nasconde controllando le emozioni dolorose.
Come possiamo aiutare i nostri figli a gestire le insicurezze?
Partiamo dal concetto di certezza: i bambini sono conservatori per definizione, tutto quello che non è prevedibile viene vissuto con diffidenza, pensiamo alla richiesta dei rituali per andare a letto, delle storie raccontate sempre uguali e guai a cambiare qualcosa! Crescendo, le esperienze si sommano, e sapere che le situazioni di cambiamento si ripresentano permette ai bambini di riconoscere che possono essere affrontate. I passaggi di crescita, i cambiamenti di luogo, di persone, di prestazioni, diventano allora momenti nei quali il bambino e il ragazzo cercano di esprimere se stessi e di farsi uno spazio nel mondo. Il problema nasce quando credono di non essere all’altezza delle aspettative del mondo circostante: genitori, insegnanti, allenatori, amici e compagni. Quando pensano che solo l’adulto che lo ha accompagnato fin lì potrà aiutarlo, se devono compiere un’azione da soli temono di non farcela. L’individuazione, cioè la creazione di una propria identità che porta a fare da soli, pensare da soli, agire da soli – è un percorso fondamentale per il bambino. Aiutare i bambini a riflettere su di sé è importante fin da piccoli, chiedendo loro cosa pensano delle cose, degli amici, delle situazioni. Parlare è il modo migliore per insegnare a pensare e il genitore dovrebbe essere curioso, fare domande e poi limitarsi ad ascoltare, contenendosi nelle risposte da adulto.
Quali le età più “esposte”?
Sicuramente i bambini più piccoli: nella prima infanzia hanno difficoltà a staccarsi dalla figura genitoriale, manifestando in modo chiaro la propria paura del mondo esterno non conosciuto e imprevedibile. Ma anche l’adolescenza risulta un’età complessa per quanto riguarda l’insicurezza e il non sentirsi all’altezza di situazioni amicali, sociali o scolari.
Quando è bene approfondire con uno specialista?
Non è detto che la crescita aiuti: a volte le problematiche si sommano e le condizioni più complesse dello sviluppo adolescenziale fanno crollare l’autostima fin lì conquistata con il gioco infantile come strumento che facilita le relazioni. Sicuramente un adolescente che si isola, che tende al rifiuto scolastico o sociale, che manifesta sintomi somatici come mal di testa o mal di pancia, va aiutato ad affrontare il rapporto difficile con se stesso e con gli altri. Solo se sarà sostenuto nel riconoscimento delle proprie risorse e nell’accettazione del proprio temperamento, con parti belle e meno belle, potrà rimettere in moto l’identità in crescita che sembra essere parcheggiata in cameretta.