Per tanti che di lei hanno parlato, Pienza è la “città ideale” del Quattrocento, unico esempio di città del quindicesimo secolo nata (o, per meglio dire, ristrutturata) secondo un piano urbanistico prestabilito, in quella che Franco Cardini e Sergio Raveggi hanno definito “una delle più straordinarie realizzazioni della volontà mitopoietica dell’umanesimo”. Il sogno di un papa, Pio II, realizzato grazie al genio di uno dei migliori architetti del Rinascimento, Bernardo Rossellino.
Un antico borgo della val d’Orcia che si trasforma in una cittadina moderna, costruita secondo le idee urbanistiche più aggiornate e innovative. In queste poche battute potrebbe riassumersi la nascita di Pienza, l’antica Corsignano che diede i natali a Enea Silvio Piccolomini, nobile umanista, esponente di un’illustre famiglia senese da tempo decaduta e lontana dalle vicende di Siena. Salì al soglio pontificio nel 1447, e pur da anni lontano dal suo borgo, mai dimenticò le proprie origini.
Fu nel febbraio del 1459 che il papa, nel corso d’un viaggio che lo stava conducendo da Roma a Mantova, transitò per il borgo natio, e lo trovò disordinato e degradato, tanto da coltivare l’idea di risollevarlo da questa condizione per trasformarlo in una città moderna, nello spazio di soli tre anni. Una città che da lui poi prese nome: non più Corsignano, ma Pienza, la città di Pio. Il papa, come detto, era un raffinato e dotto umanista, ed è noto che nel suo viaggio ebbe al seguito non solo il Rossellino, ma anche il maestro di quest’ultimo, quel Leon Battista Alberti che si considera tra i grandi padri dell’architettura del Rinascimento: ed è probabilmente Alberti che suggerì di non stravolgere l’assetto dell’antico borgo, ma di fare in modo che le nuove strutture si adattassero a quanto già esisteva.
Gli eleganti edifici rinascimentali vennero così costruiti lungo il corso principale, ancor oggi l’arteria di Pienza (è il “corso Rossellino”), senza che tuttavia ne venisse corretto l’andamento leggermente irregolare. Di nuovo, c’era la piazza, che doveva inizialmente rappresentare l’unico intervento nell’antica Corsignano, e che non ha un solo accesso frontale, ma ne ha due laterali, in modo da garantire vedute diverse secondo l’ingresso. La piazza si apre direttamente sul corso: ha forma trapezoidale, ed è chiusa dalla facciata, anch’essa albertiana (riprende il Tempio Malatestiano di Rimini), del Duomo sul lato più lungo. Ad accompagnare la prospettiva sono il Palazzo Piccolomini a destra e il Palazzo Vescovile sulla sinistra, mentre sul lato opposto al Duomo sorge il Palazzo Pretorio. Anche il lastricato della piazza concorre a suggerire la prospettiva, suddiviso com’è in grandi rettangoli separati da listoni di travertino.
E la stessa visita a Pienza solitamente non può che cominciare da qui, dalla piazza grande, oggi “piazza Pio II”. La Cattedrale, oltre a essere uno degli edifici di culto più belli della Toscana, rappresenta anche un’interessante sfida ingegneristica, dal momento che la chiesa è aggrappata alla roccia su cui sorge la città, come si nota passeggiando dietro le absidi. Edificio in travertino straordinariamente luminoso, fu costruito sul modello delle Hallenkirchen tedesche che Pio II aveva conosciuto durante i suoi lunghi viaggi nell’Europa settentrionale: l’eleganza, tanto dell’interno quanto della facciata sapientemente tripartita, è però tutta italiana. E al suo decoro contribuiscono i capolavori pittorici che il visitatore trova all’interno, di alcuni dei maggiori artefici della prolifica scuola senese del Rinascimento: Matteo di Giovanni, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, il Vecchietta. Tutte tavole, non ci sono affreschi: per espressa volontà del pontefice, le pareti del Duomo dovevano preservare il loro bianco… naturale. Persino sulle tavole Pio II diede disposizioni: nessuna cornice elaborata, nessuna divisione in scomparti, ma figure partecipi d’un unico spazio.
Sul lato trova invece spazio il palazzo di Pio II, idea albertiana di arenaria e travertino, e anche in questo caso probabilmente il pontefice volle intervenire nelle fasi di progettazione dell’edificio per il quale Bernardo Rossellino prese a modello Palazzo Rucellai a Firenze. Oggi, Palazzo Piccolomini è aperto al pubblico, gestito dalla società che cura i beni dei Piccolimini (che lo abitarono fino agli anni Sessanta): un’infilata di stanze con arredi del Cinque e del Seicento che raccontano la storia della famiglia conduce al giardino e al loggiato, da dove s’ammira uno dei panorami più celebrati della val d’Orcia. Sul lato opposto della piazza, il Palazzo Vescovile ospita oggi il Museo Diocesano, custode di opere di sommo valore, a cominciare dal preziosissimo piviale di Pio II, un meraviglioso paramento istoriato con gli episodi delle vite della Vergine, di santa Margherita d’Antiochia e di santa Caterina d’Alessandria, e poi dipinti del Vecchietta, di fra’ Bartolomeo, di Luca Signorelli, del Sodoma, della scuola senese del Cinquecento, di Bernardino Mei, di Ventura Salimbeni.
La loggia del Palazzo Pretorio e la sua torre accompagnano il viaggiatore verso il corso: qui, sono allineati sobri palazzi rinascimentali anch’essi parte del progetto di rinnovamento di Pio II, dal momento che il pontefice invitò i suoi cardinali a mettere a disposizione risorse per ammodernare gli edifici della cittadina. E quello che vediamo oggi percorrendo il corso per tutta la sua lunghezza è il risultato del munifico attaccamento del papa al suo borgo natale. Poi, dal corso, s’imboccheranno i vicoli dai nomi pittoreschi e romantici (via dell’Amore, via del Bacio, via della Volpe, vicolo Cieco, via Buia, via della Fortuna, via Pia, via dell’Angelo: curiosamente, a poca distanza l’una dall’altra ci sono anche una piazza di Spagna e una via Condotti) per trovare chiese, come quella di San Francesco, coi suoi affreschi trecenteschi, antichi palazzi in mattoni, il complesso delle “case nuove”, ovvero il singolare progetto d’edilizia popolare rinascimentale avviato anch’esso da Pio II, pozzi di tutte le dimensioni, il belvedere di via del Casello.
E proprio qui, una targa ricorda Mario Luzi, il poeta toscano che a Pienza fu molto legato, dacché vi trascorreva spesso i soggiorni estivi, e riteneva che tra lui e la città ci fosse una sorta di “simbiosi tutta immaginativa”. Tante volte Luzi si sarà affacciato sul belvedere per ammirare la terra orciana: “visione che appare come un fondale della memoria o un luogo del sogno su cui un oscuro senso esaltato percepisce il brivido d’una misteriosa ventilazione. Lassù, infatti, il vento è una specie di respiro misterioso del pianeta”.
Toscana da scoprire è una collaborazione iniziata a luglio tra Informatore e Finestre sull’Arte, testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea, per raccontare ogni settimana sul sito dell’Informatore i più bei borghi toscani ancora da non perdere.