Serra Yilmaz, una donna “turchese”

In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, vi proponiamo questa intervista esclusiva dell'Informatore all'attrice Serra Yilmaz a cui abbiamo chiesto una riflessione sul tema e, con l'occasione, parlato della situazione del teatro in Italia al tempo del Covid 19

Casateatro
Casateatro
Casateatro è un progetto di Unicoop Firenze realizzato in collaborazione con Murmuris Teatro per creare un gruppo di spettatori consapevoli e promuovere la partecipazione ed il coinvolgimento attivo del pubblico nella vita dei teatri toscani.

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. In occasione di questa giornata vi proponiamo questa intervista esclusiva dell’Informatore all’attrice Serra Yilmaz con una sua riflessione sul femminicidio in Italia e nel mondo. Un fuori programma, una sosta momentanea per porre attenzione su un tema importante di attualità, per poi riprendere e proseguire il nostro viaggio tra le parole dei luoghi del teatro.

Serra Yilmaz da sempre ha dimostrato grande sensibilità al tema della violenza sulle donne ed è per questo che iniziamo e anticipiamo con lei la prima intervista ad alcuni dei protagonisti del mondo del teatro. È stata anche l’occasione per fare il punto sulla situazione del teatro in Italia al tempo del Covid 19.

Nata a Istanbul, la città ponte tra Oriente e Occidente: una donna “turchese”, così come la definì, tanti anni fa, una ragazza incontrata in Francia. Forse è per questo che la sua anima è divisa in due: due mestieri, due culture, due lingue. Anzi tre, perché, oltre al turco, Serra Yilmaz parla correntemente, anche francese e italiano. E oltre a fare l’attrice, è anche interprete. Due professioni al centro delle quali ci sono le parole. Molte e intense, quelle che sceglie per raccontarsi nella nostra intervista in cui spazia dai suoi diversi ruoli in teatro quelli nei tanti film del regista Ferzan Özpetek, all’essere artista e donna oggi.

L’intervista

25 novembre, una data che ci ricorda la violenza e le violenze sulle donne. A che punto siamo, in Italia e nel mondo?
Il femminicidio è un’onda scura e inarrestabile: ingoia e travolge le donne che spesso non trovano gli strumenti e il supporto per liberarsi dalla violenza. Il femminicidio non arriva mai a sorpresa: troppe volte sentiamo dalle cronache che la donna aveva denunciato e chiesto aiuto… ma poi è rimasta comunque vittima. Questo, nel 2020, è inammissibile, al primo posto deve essere messa la tutela della vita della donna. E tutti noi dobbiamo cambiare lo sguardo su questo fenomeno: una vittima è sempre una vittima, senza se, ma e scusanti per chi compie una violenza così ingiusta.

Donna, mamma e artista cosmopolita che vive e lavora a cavallo fra Oriente e Occidente. Nei loro tanti e simultanei ruoli, come vede, le donne, oggi?
Donne… se ne parla tanto perché la donna è la minoranza più numerosa al mondo e ha ancora tanto da conquistare. Per questo se ne deve continuare a parlare. Dobbiamo ancora lottare tantissimo per vedere riconosciuti, ovunque, certi diritti e certi spazi. C’è ancora molto da fare, in verità.

Restando all’attualità e parlando di teatro…Il teatro a porte chiuse: in attesa della riapertura dopo l’emergenza, cosa succede dietro le quinte?
Si attende, si studia, si prova per farsi trovare pronti quando il teatro riaprirà le porte. Io sono impegnata nelle prove dello spettacolo “Occidente” che era in cartellone a novembre, un testo di Rémi De Vos con la regia di Angelo Savelli. Proviamo e sogniamo di riabbracciare presto il nostro pubblico.

Quali i pensieri, le preoccupazioni, lo stato d’animo?
Indubbiamente, è un periodo molto duro per tutti. Noi, teatranti e artisti, siamo lavoratori precari, come molti altri. Siamo e sono preoccupata perché non so quando e come si ripartirà ma penso anche che non dobbiamo mai abbandonare la speranza di tornare a giorni migliori. Di veder migliorato il nostro pianeta, di preparare un futuro per i nostri figli. La speranza è uno stato d’animo: nell’incerta attesa, serve a restare vivi.

In questo scenario di emergenza planetaria, che ruolo può svolgere la cultura, in tutte le sue forme?
La cultura è indispensabile, senza, l’uomo tornerebbe a essere un primate! Pensiamo per un attimo a come sarebbero passati i giorni di quarantena se non ci fossero stati i film, i concerti, i libri che ci hanno fatto compagnia. La cultura e l’arte sono vita: senza, non so come avremmo fatto o faremmo, di nuovo, oggi.

Anche il teatro, quindi, si può guardare da casa?
Per il teatro è diverso. Al teatro non basta lo streaming: lo streaming è un ruscello, il teatro è un fiume in piena. Ogni spettacolo è un pezzo unico che vive del pathos del momento. A teatro devi sentire il respiro dell’attore, i suoi passi sul palco… il teatro è la magia che si crea fra attori e pubblico in carne e ossa: è l’irripetibilità del momento e, per essere teatro, deve essere fatto e visto dal vivo.

Cosa le manca più della vita prima del Covid?
Di poter andare a zonzo come mi va, di poter passeggiare senza l’ansia di mantenere le distanze o di essere fermata e “interrogata”. Mi manca il mio lavoro: faccio un mestiere che ho scelto per passione e per amore. Vorrei riprendere la tournée del Don Chischiotte, interrotta a marzo dallo shock della pandemia. Vorrei rivedere i miei colleghi. Vorrei salire sul palco e ritrovare il pubblico. Tutto questo mi manca.

Di lei dicono che è un attrice “cult”. Perché secondo lei? E le sembra una buona definizione?
Veramente io non mi definirei mai così, mi definisco un “carattere”. Può essere cult un film, non un attore. Le definizioni sono dei limiti che non ci aiutano. Per esempio, essere definita l’attrice feticcio simbolo di Ferzan Özpetek è un grande onore, ne sono contenta anche per l’affetto e il rapporto che ho con Ferzan ma, d’altra parte, è un limite rispetto a altri miei profili di attrice.

Attrice sia di teatro che di cinema. Si sente più a suo agio sul palcoscenico o davanti la macchina da presa? E dove si diverte di più?
Il set è sempre molto divertente, durante le riprese si diventa tutta una famiglia, si ha l’impressione di essere in una bolla fuori dal mondo dalla quale non si ha voglia di uscire. Invece le prove a teatro sono il momento più difficile, quello in cui elaborare e far venire fuori il personaggio. Spesso lo faccio in modo solitario rispetto ai colleghi in scena: mi concentro su me e sul mio personaggio, a volte è faticoso trovare la sintonia con gli altri. Del teatro adoro il momento in cui si apre il sipario e il personaggio e l’opera incontrano il pubblico. Allora sì, il palco è un’emozione irripetibile, imprevedibile, ogni volta unica.

Glielo avranno chiesto in tanti…perché i capelli color turchese? Hanno un significato particolare?
Tanti anni fa mia figlia si tinse i capelli di fucsia ciclamino: mi piacque così tanto che l’ho copiata, colorando prima qualche ciocca di celeste poi via via tutti i capelli. È un colore emblematico e meraviglioso: è il colore del mare, del cielo e dei miei occhi. Incuriosisce gli adulti e incanta tutti i bambini che ne restano quasi sempre ammaliati.

Progetti futuri, Covid permettendo?
Due progetti futuri a teatro, di cui uno dei due è un monologo. Poi un progetto nel mondo della fiction ma è tutto in fase di elaborazione. Per scaramanzia… incrociamo le dita per il futuro, di tutti noi.

(Intervista di Sara Barbanera)

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