Quando Dante scrive la Commedia, l’Europa occidentale vive un periodo di straordinario sviluppo economico, civile e culturale: le città prosperano, si moltiplicano le biblioteche e gli studi universitari (come quelli di Bologna, Parigi, Oxford), mentre l’incremento demografico stimola lo sviluppo tecnico-scientifico. La penisola italiana, in particolare, rappresenta una delle punte più avanzate di questa eccezionale fase storica. A confermarlo sono anzitutto le sue città che, all’alba del Trecento, superano per numero e dimensioni i principali centri urbani europei, con la sola eccezione di Parigi. I nostri territori ospitano infatti almeno una dozzina di “metropoli” da oltre 40 mila abitanti e alcune “megalopoli” – Firenze, Milano e Venezia – con oltre 80 mila residenti. Numeri davvero rilevanti per l’epoca.
E Dante, come cittadino fiorentino e poi come esule, è sicuramente entrato in contatto con le aree più fiorenti e progredite dell’Italia centro-settentrionale. Ciò gli ha consentito anche di maturare un’esperienza personale delle più recenti innovazioni tecniche messe a punto nel settore agricolo e in quello tessile, per esempio, o dei sistemi per il controllo artificiale dei fiumi e lo sfruttamento dell’energia idrica, dei processi sempre più raffinati per la lavorazione del metallo, del vetro e della carta.
Certamente negli scritti danteschi (e nella Commedia in particolare) la curiosità dell’autore verso questo brulicante universo d’invenzioni emerge continuamente. Da quest’ultimo Dante trae infatti spunto per analogie e similitudini vividissime, che danno realismo e forza espressiva a tante celebri immagini; si pensi, per esempio, alla descrizione della pece bollente in cui sono “attuffati” i barattieri, paragonata a quella preparata nel cantiere navale veneziano per la riparazione delle imbarcazioni («Quale ne l’arzanà de’ Viniziani / bolle l’inverno la tenace pece / a rimpalmare i legni lor non sani…» Inf. XXI, 7-9), o alla presentazione di Lucifero come un enorme mulino a vento che con le sue pale spira vento gelido («par di lungi un molin che ’l vento gira…» Inf. XXXIV, 6). Queste similitudini sono spesso arricchite di dettagli e di termini tecnici tali da far supporre una conoscenza tutt’altro che superficiale della materia: Dante racconta di cantieri, telai, macine e ingranaggi a ruote dentate, insomma, come se li avesse visti con i propri occhi. E probabilmente, in molti casi, dev’essere stato proprio così.
I versi della Commedia, allora, non offrono soltanto un affresco nitido e vivace della società del tempo, affollato di personaggi reali e di vicende storiche più e meno note, ma disegnano in filigrana anche un quadro dello straordinario progresso tecnico-scientifico del tardo Medioevo. Una prova evidente della capacità di Dante di tenere il passo con le innovazioni del suo tempo si può cogliere nelle similitudini ispirate al mondo dell’orologeria, che proprio nell’ultimo ventennio del Duecento aveva introdotto diversi raffinati automatismi. Il poeta ha senza dubbio in mente degli orologi meccanici – dotati di ruote dentate, pesi, contrappesi e scappamento (l’ultimo ritrovato del settore) – quando, nel canto X del Paradiso, accosta la danza e il canto dei beati al movimento rotatorio degli ingranaggi di una “sveglia” a suoneria e al suo dolce “tintinnare”:
Indi, come orologio che ne chiami
ne l’ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l’ami,
che l’una parte e l’altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota […]
così vid’ ïo la gloriosa rota […].
(Par. X, 139-145)
Il passo è interessante anche sul piano del lessico, perché il termine qui scelto da Dante per definire questo dispositivo, cioè orologio, è una parola cólta (dal latino horologium) e piuttosto rara nell’italiano antico, mentre è per noi d’uso quotidiano. Altrove il poeta predilige la forma toscana più familiare, cioè oriuolo, oggi pressoché scomparsa (si conserva al più nel nome di vie e di edifici storici):
E come cerchi in tempra d’orïuoli
si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l’ultimo che voli […].
(Par. XXIV, 13-15)
I movimenti regolari e composti dei beati sono accostati a quelli delle ruote dentate che, nell’orologio, agiscono a differenti velocità, tanto che la prima, più piccola, sembra ferma e l’ultima par «che voli». Una similitudine dunque precisissima, sul piano tecnico, e così realistica da aprire al lettore i segreti della meccanica terrena e, contemporaneamente, proiettarlo nell’armoniosa perfezione di quella celeste.
Riferimenti bibliografici
Franca Brambilla Ageno, Strumenti per la misurazione del tempo nei paragoni della terza cantica, «Studi danteschi», 54 (1982), pp. 113-120.
Stephan R. Epstein, I caratteri originali. L’economia, in L’Italia alla fine del Medioevo, a cura di Francesco Salvestrini, Firenze, Firenze University Press, 2006, pp. 381-431.
Filippo Silvestri, La tecnologia nella Commedia di Dante. Il Medioevo delle macchine e delle invenzioni, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2018.
Vocabolario Dantesco, in elaborazione presso l’Accademia della Crusca con la collaborazione dell’Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, consultabile in rete all’indirizzo www.vocabolariodantesco.it.
(a cura di Barbara Fanini)