Sesto appuntamento della rubrica dell’Informatore online dedicata al cinema, realizzata in collaborazione con lo Spazio Alfieri di Firenze, nell’ambito del “Premio Claudio Carabba”, giunto ormai alla seconda edizione, indetto dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Toscano (SNCCI), dallo Spazio Alfieri, il programma Lanterne Magiche FST, con il supporto di Unicoop Firenze.
Gli autori dei migliori elaborati dell’edizione 2023 saranno premiati con un soggiorno di cinque giorni alla Mostra del Cinema di Venezia, che quest’anno si svolgerà dal 30 agosto al 9 settembre.
Racconteremo le loro impressioni e recensioni “in diretta” sui canali social dell’Informatore online.
Nell’attesa del Festival di Venezia pubblichiamo la recensione del film “The Fabelmans” di Steven Spielberg a cura di Chiara Musicò, Università di Pisa, corso di laurea in storia e forme delle arti visive, dello spettacolo e dei nuovi media.
La recensione
L’arte è un caleidoscopio in cui sbirciare e meravigliarsi: dispensatrice di sogni e catalizzatrice di empatia, connette l’uomo alle sue radici più profonde e rende illustrabile l’inesprimibile. È il 10 Gennaio 1952, New Jersey. Il piccolo Sammy Fabelman – Mateo Zoryan Francis-Deford – è in fila insieme ai genitori davanti al cinema, in attesa di vedere il suo primo film della vita: The Greatest Show on Earth di Cecil de Mille.
È completamente terrorizzato dall’idea di entrare in un luogo dove persone giganti si muovono su un altrettanto imponente schermo, nel buio di una enorme sala. Il papà, Burt Fabelman, lo rassicura spiegandogli nei minimi dettagli il funzionamento del proiettore; la mamma, Mitzi, lo coccola con confortanti parole: «I film sono sogni, tesoro, che non dimenticherai mai».
Comodamente seduti sulle poltroncine della gremita sala, Sammy e i genitori assistono con stupore allo spettacolo. Poi, lo schianto: sul grande schermo, il treno di The Greatest Show on Earth travolge una macchina ed un altro convoglio ferroviario. Tutti gli spettatori sussultano,
compreso Sammy. La mamma aveva ragione: quel film non lo avrebbe mai dimenticato. Nella mente del piccolo, quell’incidente, rimane vivido e continua a fare male.
I rumori, la concitazione, le immagini rimangono ancorate ai suoi pensieri e non gli permettono di dormire: per superare il trauma ha bisogno di visualizzare di nuovo quella scena, avere la sensazione di poterla controllare. Chiede un trenino, come regalo per l’Hanukkah: lo farà schiantare finché l’incubo non diventerà innocuo e non gli farà più paura. Il regalo, però, si rompe. Burt lo sgrida, Mitzi lo comprende: fornisce a Sammy la cinepresa di famiglia, gli permette di filmare lo scontro e gli regala la possibilità poterlo rivedere tutte le volte che vorrà.
Questo l’incipit di The Fabelmans, il pluripremiato lungometraggio semi- autobiografico diretto da Steven Spielberg e co-sceneggiato dallo stesso regista insieme a Tony Kushner.
La prima scena mette da subito in campo la dialettica fra due “squadre”, come le chiama Mitzi, che è uno dei perni su cui ruota la trama di The Fabelmans. Burt – Paul Dano – rappresenta la fazione degli scienziati, Mitzi – Michelle Williams – quella degli artisti. La realtà dei fatti è che Sammy – la cui versione adolescente è interpretata da Gabriel LaBelle – appartiene a entrambe le squadre: l’ingegno con cui cerca di creare effetti speciali nei suoi film corrisponde alla mentalità metodica e razionale del padre, l’emotività con cui racconta è lo specchio della spontaneità e creatività materna.
L’arte non può esistere senza il Sogno e, quest’ultimo, è la nenia che accompagna The Fabelmans in tutto il suo scorrere. Esso appare nel film in tutte le sue forme: è fantasia, obiettivo, desiderio irrealizzabile. La danza di Mitzi davanti ai fari della macchina è un sogno felice, il voler fare cinema di Sammy è slancio vitale. Il Sogno, però, può essere pericoloso come la bocca del leone in cui Zio Boris – Judd Hirsch – infila la testa durante gli spettacoli del circo. Ma se Mitzi rinuncia alla musica e reprime il desiderio di coltivare il suo amore per Benny, schiacciata dalla paura di rovinare la serenità dell’intera famiglia, Sammy comprende che la chiave della felicità è la sua arte e corre verso il cinema. Perché, rincorrere con determinazione i sogni, acchiapparli, tenerli stretti al cuore, è l’unica via per non appassire e non vivere nel rimpianto come Mitzi.
È splendido, come Spielberg riesca a raccontare in modo chiaro e diretto l’innamoramento di Sammy per il cinema: assistere all’incontro del protagonista col suo primo film e partecipare ai momenti in cui il bambino gira piccole scene giocando con le sorelline, suscita un immenso senso di tenerezza. Sammy, poi, cresce. La macchina da presa inizia a indugiare sugli strumenti con fare più maturo e indagatore. L’ordine con cui il ragazzo dispone le parti di pellicola, attaccandole una per una sul tavolo con i pezzettini di carta gommata e scrivendo su ciascuno di essi il titolo delle rispettive sequenze, è mostrato con la stessa minuziosità che il protagonista impiega nel montaggio.
La cinepresa segue con curioso interesse le azioni di Sammy e scopre il mondo del cinema analogico insieme allo spettatore, apprendendo cosa sia il vero “taglia e incolla”, visualizzando da vicino la preziosa celluloide e gustando l’artigianalità del processo. I rumori della cinepresa, del proiettore, del taglio della pellicola e dello scorrere della stessa nella moviola sono finezze che, insieme all’alta qualità delle inquadrature, danno vita a delle sequenze incantevoli. E allora lo spettatore percepisce l’amore per i materiali e gli strumenti del mestiere: ecco che il girare film diviene un qualcosa di estremamente tattile, manuale. Dopotutto, Focillon, in Elogio alla mano conferma che: «l’arte si fa con le mani. Esse sono lo strumento della creazione, ma prima di tutto l’organo della conoscenza».
Essendo l’artista, per sua natura, demiurgo di immagini e storie, nello specifico caso dell’autoritratto egli è creatore di sé stesso e plasma la sua immagine con le proprie mani. Mitzi le usa per suonare il pianoforte, mentre Sammy dà indicazioni, gira i film e li monta intervenendo manualmente sulla pellicola, manipolando le immagini a seconda di quale storia vuole raccontare.
Scrivendo la sceneggiatura, guidando gli operatori macchina, dirigendo gli attori, girando The Fabelmans, Steven Spielberg, sempre con le proprie mani, dipinge un autoritratto del sé del passato. Come il piccolo Sammy, il quale affronta il trauma dello schianto in The Greatest Show on Earth con la cinepresa del papà, il grande Steven fronteggia finalmente quello del divorzio dei suoi genitori modificandone le parti, scegliendo di raccontarlo con la saggezza dell’età matura. Burt ottiene, nel film, la comprensione che papà Arnold avrebbe meritato nella vita reale, ma che ha avuto solo molti anni dopo il divorzio con mamma Leah: una delle verità più dure che Steven digerisce solo girando The Fabelmans.
Forte è l’interesse, nelle occasioni in cui Sammy va al cinema o mostra i suoi lavori ad altri, di catturare le reazioni del pubblico di fronte allo schermo: lo sguardo meravigliato di Sammy nella prima scena; i volti felici e stupiti dei familiari mentre guardano i suoi primi film o i piccoli resoconti delle gite; le espressioni strabiliate degli amici o compagni di scuola, i quali si interfacciano con il proprio riflesso in quella sorta di specchio in differita, lo schermo.
E così i soggetti di questi film, con sorpresa, si riscoprono protagonisti di nuove storie, indossatori di nuove vesti, catalizzatori di nuove attenzioni. Questo interesse verso lo spettatore, Spielberg lo condivide con Sammy: durante le proiezioni, il ragazzo si diverte a leggere gli effetti del suo lavoro sui volti delle persone, scrutandole di nascosto da dietro il proiettore.
The Fabelmans non avrebbe potuto essere così coinvolgente senza un cast come questo. Gli attori hanno prestato moltissima attenzione alla resa dei loro personaggi, studiando il materiale fornito loro da Steven e affidandosi alla sua magistrale regia. Williams rende perfettamente la fresca delicatezza sognante di Mitzi. I gesti inconsci di Dano, gli sguardi di LaBelle, la leggerezza delle attrici che interpretano le sorelle di Sammy, la straordinarietà di Hirsch ed il lavoro di tutto il resto del cast sono combinati con sapienza e donano una dinamicità invidiabile alle scene. I sentimenti trasmessi sono autentici, vividi e la macchina empatica funziona senza sosta: in sala scoppiano fragorose risate ed il senso di tenerezza e commozione si propagano senza alcun attrito.
Esilarante, il cameo di David Lynch nei panni di John Ford, che appone la parola “fine” ad un lungo percorso emotivo e disegna un sorriso sul volto di chi, uscendo dalla sala, si sveglia dal sogno di The Fabelmans.
Sinossi del film
The Fabelmans
di Steven Spielberg
con Michelle Williams, Paul Dano, Seth Rogen, Gabriel LaBelle, Judd Hirsch
Genere: drammatico
Durata: 151 minuti, Stati Uniti 2022
Un grande e personale atto d’amore verso il cinema e verso la vita che lo “imita”. Una grande storia americana, fatta di sogni, visioni e fiabe, come tutte quelle che Steven Spielberg ha saputo regalarci nei migliori anni della nostra vita.
Sammy Fabelman è appassionato di cinematografia, un interesse alimentato in lui anche da sua madre Mitzi, donna dalla spiccata vena artistica. Suo padre Burt è invece un uomo di scienza dalla brillante carriera che, pur non opponendosi alle aspirazioni del figlio, le considera alla stregua di un hobby. Nel corso degli anni, Sammy continuerà a documentare le vicende della sua famiglia, girando film amatoriali sempre più elaborati, interpretati da sua sorella e dai suoi amici. A 16 anni è già un acuto osservatore e narratore della sua realtà familiare, ma quando i suoi si trasferiscono altrove, Sammy scoprirà una verità sconvolgente che riguarda sua madre e che cambierà per sempre il suo rapporto con lei, con ripercussioni sul suo futuro e su quello dell’intera famiglia.