Quinto appuntamento della rubrica dell’Informatore online dedicata al cinema, realizzata in collaborazione con lo Spazio Alfieri di Firenze, nell’ambito del “Premio Claudio Carabba”, giunto ormai alla seconda edizione, indetto dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Toscano (SNCCI), dallo Spazio Alfieri, il programma Lanterne Magiche FST, con il supporto di Unicoop Firenze.
Gli autori dei migliori elaborati dell’edizione 2023 saranno premiati con un soggiorno di cinque giorni alla Mostra del Cinema di Venezia, che quest’anno si svolgerà dal 30 agosto al 9 settembre. Racconteremo le loro impressioni e recensioni “in diretta” sui canali social dell’Informatore online.
Nell’attesa del Festival di Venezia pubblichiamo la recensione del film “Strade perdute” del regista David Lynch, di Elena Innocenti, Università degli Studi di Firenze.
La recensione
«I like to remember things my own way […] How I remember them. Not necessarily the way they happened». È così che Fred Madison motiva a un agente di polizia la sua contrarietà all’installazione di telecamere di sorveglianza all’interno della propria abitazione, dicendosi refrattario in generale all’idea di avere un’ulteriore testimonianza dei propri ricordi oltre la sua.
Pur di preservare la peculiarità della propria prospettiva e, perciò, della propria memoria, il protagonista sembrerebbe quindi disposto a sacrificare la veridicità stessa degli eventi, contrapponendo così una visione oggettiva del reale, imparziale e veritiera, a una soggettiva, potenzialmente fallace e unilaterale, ma proprio per questo unica. È questa stridente contrapposizione tra soggettivo ed oggettivo a sembrare uno dei nuclei drammatici di questa prima parte del film: a casa di Fred sono infatti state recapitate due misteriose ed inquietanti videocassette, le quali paiono gettare, da un punto di vista apparentemente esterno, uno sguardo indagatore sulla sua vita, che arriva a profanarne perfino l’intimità coniugale, spiandolo addormentato in camera da letto accanto alla moglie Renée.
Quest’occhio profanatore non è però solo: è lo stesso Fred infatti a gettare i medesimi sguardi alla propria abitazione e, di conseguenza, al proprio matrimonio. In lui si è infatti insinuato il sospetto che la moglie, tanto bella quanto inafferrabile, lo tradisca e, tormentato da questi pensieri, si trova oppresso all’interno della sua stessa casa, la quale si trasforma in un incubo perturbante, dove ciò che dovrebbe essere più confortante e familiare, dalle mura domestiche al volto della stessa Renée, è fonte di terrore e smarrimento.
Intrappolato in questo scenario di uomo e marito mediocre, che culmina nell’umiliazione dell’impotenza sessuale, Fred soccombe alle proprie ossessioni e alla fine uccide la moglie. L’uomo sembra però essere completamente all’oscuro di questo suo gesto e, come lo spettatore, ne viene a conoscenza grazie a una terza videocassetta, la quale lo riprende in camera da letto accanto al corpo smembrato della donna. Il fatto che sia la registrazione della videocassetta a mostrare l’omicidio non solo allo spettatore, ma anche al protagonista stesso che invece dovrebbe esserne in prima persona testimone, oltre che esecutore, sembra confermare ulteriormente il binomio tra soggettivo e oggettivo, tra la mente, e le sue illusioni, e la realtà.
Condannato alla pena di morte per il proprio crimine, senza nessun ricordo del delitto commesso, Fred sprofonda in una devastante crisi psichica, al culmine della quale si trasfigura, nel corpo e nella mente, in un giovane uomo di nome Pete Dayton. Totalmente sopraffatto dal peso della vergogna per i propri fallimenti, tanto sessuali quanto coniugali, e per il proprio uxoricidio, l’unico scenario per un possibile riscatto per Fred è infatti quello di rinascere come persona e personaggio, nel dettaglio come il protagonista di una vicenda dai classici toni noir. Pete è un giovane uomo dall’aspetto ordinario e senza particolari talenti o capacità, tranne la bravura nel riparare automobili, la quale gli procura la simpatia di Mr. Eddy, un gangster che si reca spesso nell’autofficina dove il ragazzo lavora. Nonostante quindi il suo non essere particolarmente attraente o dotato, il giovane riesce ad attirare l’attenzione di Alice Wakefield, controparte di Renée Madison e partner di Mr. Eddy.
Pete inizia con questa femme fatale un’appassionata relazione sessuale, non priva di conseguenze: in linea con gli archetipi del film noir, Alice si rivela infatti una donna fredda e manipolatrice e, in ultima analisi, fonte di rovina per il protagonista maschile, il quale comincia a mostrare gli stessi segni di cedimento psichico di Fred. Ma non sono questi gli unici elementi che mettono a repentaglio la fantasia di quest’ultimo: l’uomo si è infatti trasfigurato in questo scenario per riscattarsi dalla propria impotenza sessuale, ma la conquista di Alice non è sufficiente: per attestare la sua supremazia in quanto protagonista, sarà infatti necessario per Fred distruggere l’altro modello maschile presente nell’ambientazione noir, ovvero Mr. Eddy. Il gangster infatti incarna alla perfezione tutte le caratteristiche dell’iper-mascolinità: è dedito alla violenza, al dominio e alla sopraffazione sessuale delle donne, adeguatamente rappresentata dal mercato di film pornografici in cui la stessa Alice è coinvolta.
Per comprendere a pieno quali sono gli elementi che nel profondo differenziano i due personaggi, è utile non solo fare riferimento ai diversi tipi di mascolinità che incarnano, ma anche ricorrere all’analisi che Slavoj Žižek offre dell’opera di Lynch. Nella sua interpretazione psicoanalitica della filmografia lynchiana il filosofo sloveno sottolinea come quello che comunemente è considerato un binomio di opposti e di strade alternative, ovvero quello tra fantasia e realtà, debba invece essere interpretato come una coppia di elementi indissolubili, nella quale l’uno è condizione dell’altro. Nella visione di Žižek, infatti, la fantasia non costituisce un’alternativa alla realtà, bensì ne è la linfa vitale, il sistema simbolico che fonda l’immaginario individuale e collettivo e che innerva il reale stesso, rendendolo così un mondo pregno di senso. Se lo scambio reciproco tra fantasia e realtà si compromette, allora anche il mondo stesso si incrina: è così che si spiega l’incapacità di Fred di entrare in contatto con la dimensione più profonda della sessualità e di svelare l’enigma del femminile. Ma come un’eccessiva accentuazione del reale a discapito del fantasioso è dannosa, lo stesso vale per l’operazione opposta: entrambe sono fonte della medesima crisi esistenziale, di cui le videocassette e il personaggio mefistofelico armato di videocamera sono lo spettrale monito. In questo senso Mr. Eddy sembra essere l’unico personaggio in pieno possesso della coppia fantasia-realtà e perciò in grado di impregnare il proprio mondo della più alta somma di vitalismo.
Lynch sembra però suggerire come il sistema simbolico a cui questi personaggi si appellano sia in realtà intrinsecamente compromesso e porti necessariamente alla disgregazione, così come rivela il finale del film. Ciò permetterebbe infatti di spiegare il modo in cui Alice si licenzia dal dramma: in quanto femme fatale, infatti, l’unico esito possibile per il personaggio sarebbe quello della morte o del carcere, quali soluzioni punitive nei confronti di un femminile corruttore e sessualmente emancipato. La donna invece, nel pieno di un rapporto sessuale con Pete, lo abbandona nel deserto e scompare dalla scena, sfuggendo così non solo al suo destino di morte, ma anche alla conquista definitiva da parte dell’uomo. Lynch quindi abbraccia a pieno l’archetipo cinematografico del noir, e gli annessi ruoli di genere, per sovvertirlo e distruggerlo dall’interno, in un’operazione di denuncia e di conseguente rinnovamento del medium cinematografico e dei suoi stilemi, che ha anticipato di almeno vent’anni le tendenze attuali. È infatti in film contemporanei come Mad Max: Fury Road, Una donna promettente o Il ritratto della giovane in fiamme che si assiste a una sovversione interna degli archetipi cinematografici, volta a restituire complessità e umanità ai personaggi e a liberarli dalla prospettiva prettamente maschile che li ha plasmati nel corso degli anni e che spesso li ha relegati a mere fantasie.
Come afferma Clementine Kruczynski, protagonista femminile di Eternal sunshine of the spotless mind, nell’intento di rivendicare la propria dignità ed autonomia come persona e personaggio: «Too many guys think I’m a concept, or I complete them, or I’m gonna make them alive. But I’m just a fucked-up girl who’s looking for my own peace of mind».
(Elena Innocenti)
Sinossi del film
Strade perdute (Lost Highway) di David Lynch
con: Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Loggia
Durata: 134’ – USA,1996
Restaurato in 4K da The Criterion Collection con la supervisione di David Lynch
C’è una parte della mia creatività che non saprei spiegare, che mi è sconosciuta. È come nella musica: le note sono unite in un certo ordine e formano le melodie. Non interrompiamo l’ascolto per chiederci ‘perché il fa minore è là, dopo il mi diesis? (David Lynch).
Telefonare a casa propria e scoprire che a rispondere è l’uomo che vi sta davanti in quel momento. Ascoltare il citofono di casa e sentire la propria voce affermare che un tizio è morto. Cambiare personalità a metà film e vedere un mondo che possiede lo stesso lessico ma un’altra sintassi. Strade perdute è tutto così, un film che si presenta scintillante e dark, impaginato come un catalogo di moda, ma attraversato da ogni tipo di paradosso logico, da situazioni esasperate che lasciano un malessere gravoso, da narrazioni che si avvitano dentro una spirale inspiegabile. Il film più sofferto e instabile di Lynch.