Si inserisce una moneta e si parte per un viaggio. Sonoro o esperienziale che sia. Fare la spesa o accendere un jukebox sono due azioni che, per quanto distanti fra loro, iniziano allo stesso modo: con l’introduzione di una monetina, nel carrello in un caso, nel giradischi a gettoni nell’altro.
Il rapporto fra musica e shopping è in realtà assai più profondo di quello che si potrebbe apparentemente pensare. Il jukebox ormai non esiste più, se non nelle case di pochi facoltosi appassionati, e anche il concetto di spesa si è via via sviluppato nel corso degli anni, scrollandosi di dosso l’etichetta di “azione di sopravvivenza spicciola” per andare ad abbracciare invece i crismi dell’esperienza vera e propria.
Segreti del neuromarketing
Sono molteplici le motivazioni che spingono centri commerciali e supermercati ad avere una musica d’ambiente, trasmessa al volume giusto, una melodia che accompagni il consumatore nella propria spesa, aumentandone il coinvolgimento, ma senza sovrastarlo. La musica crea così nel cliente una sorta di spazio privato e personale in quello che è e rimane un contesto pubblico e quindi condiviso.
Il neuromarketing, ovvero l’applicazione delle teorie neuroscientifiche alle tecniche di vendita, da tempo si occupa del rapporto fra musica e consumatore: l’Università Bocconi, in collaborazione con M-Cube, una società specializzata in strategie di vendita digitali, ha certificato tramite una propria ricerca come l’ascolto di musica piacevole aumenti leggermente la voglia di fare acquisti, andando ad agire sul nostro subconscio. Questo non significa che, ascoltando Pupo, vi ritroverete magicamente e inspiegabilmente di fronte al banco frigo, come colti da un raptus, per acquistare il suo celeberrimo Gelato al cioccolato, così come non significa che potrete fare a meno della cara vecchia lista della spesa, che poi chi la sente zia Delia se vi dimenticate i peperoni?
Video al supermercato
Però la suggestione c’è e rimane. Suggestione che, nel corso del tempo, non ha colpito solo i guru del marketing emozionale, ma gli stessi cantanti: ci sono decine di artisti, nazionali e internazionali, che hanno subito la folgorazione sulla via dei pronti in tavola e hanno scelto di ambientare le proprie canzoni o – in tempi più recenti – i video che le accompagnano, proprio dentro un supermercato.
Galeotto fu il banco frutta, ad esempio, dove l’idolo della working class americana Bruce Springsteen fu protagonista di un colpo di fulmine – non ricambiato – in Queen of the supermarket. Quarant’anni prima anche Lucio Battisti aveva scelto il carrello della spesa come improbabile carrozza per principesse, andando a cercare l’amore fra scatolette colorate e carni rosa congelate, nella storica Supermarket. Anche a lui, come al Boss, le cose non andarono bene. Tranquilli ragazzi, capita anche ai migliori.
Gli alfieri del punk inglese The Clash, nella loro furia iconoclasta, individuarono nel supermercato l’origine di tutti i mali, come suggerito nell’autoesplicativa Lost in the supermarket: poi però furono rapiti dall’offerta sulle spille da balia e c’è chi giura di non averli più visti uscire da lì.
E poi c’è zia Delia, che da 30 anni ascolta sempre la solita raccolta di Frank Sinatra, non ha idea di cosa sia il neuromarketing e vuole solo i suoi peperoni. Bene così, a ognuno il suo.