Un secolo fa l’unica luce blu era quella che si spandeva da un abat-jour nel ritornello di una canzone di successo negli anni Venti del Novecento. Oggi la luce blu è emessa da un led e ha proprietà insospettate dai più, ma non da Francesca Rossi, studiosa dell’Istituto di Fisica applicata del Cnr. La ricercatrice, dopo aver scoperto qualche anno fa che questa particolare onda di luce può favorire il processo di guarigione delle ferite croniche cutanee e aver ideato uno speciale apparecchio attualmente utilizzato con successo, ha diretto i suoi studi alle caratteristiche antibatteriche e antivirali: «Conoscevamo le proprietà della luce blu, ma sapevamo anche che agiva lentamente: per igienizzare una superficie servivano ore – spiega Rossi -. Aumentando leggermente la densità di potenza, siamo riusciti a farlo in quindici minuti».
E qui la domanda sorge spontanea: funziona anche con il Coronavirus? «Sì, ed è molto più sicura dei raggi ultravioletti attualmente utilizzati per disinfettare, perché la luce blu, che è emessa naturalmente dal sole, rientra nello spettro del visibile». Una caratteristica intuita già in tempi antichi: «Anche le nostre nonne mettevano i panni alla luce del sole per disinfettarli, avvantaggiandosi inconsapevolmente della sua azione a livello energetico – prosegue Rossi -. La luce naturale però non è selettiva e sappiamo bene che i raggi ultravioletti interagiscono con le cellule, danneggiandole e favorendo l’insorgenza di tumori. Questo con la luce blu non avviene». Quindi è utile e buona.
Tutto nasce all’inizio del lockdown: date le grandi proprietà di questa onda dello spettro luminoso, perché non provare a usarla, ottimizzandola e perfezionandola, contro il virus del secolo? Insieme a Emoled, la società che produce anche l’apparecchio utilizzato per la cura delle ferite, e all’Università di Siena è stato condotto uno studio in laboratorio.
Maria Grazia Cusi, docente di Microbiologia, ha prima provato la luce led blu su alcuni comuni virus respiratori e poi anche sul Sars-Cov-2. I test hanno dimostrato che, dopo quindici minuti a una determinata densità di potenza di irraggiamento, non c’era più traccia dell’agente patogeno. Come e perché questo avvenga è ancora da studiare, ma è evidente che l’interazione della luce con un organismo vivente o un microrganismo produce effetti diversi: dalla stimolazione di processi di riparazione e guarigione, al rallentamento o all’inibizione di processi fisiologici, fino alla morte cellulare. Questo dipende da alcuni parametri di base dell’emissione luminosa, come la lunghezza d’onda, la densità di energia, il tempo e la frequenza di esposizione. Nel caso specifico del Coronavirus probabilmente la luce interferisce con l’azione della proteina Spike collocata sulla corona del virus. La stessa proteina che gli permette di insinuarsi nell’organismo con le conseguenze che tutti ormai conosciamo.
Anche se non guarisce dal Covid, la luce blu può aiutare a non ammalarsi: si possono disinfettare tessuti, cibo, superfici come pavimenti, tavoli e scrivanie, riducendo anche i rischi che comporta per l’ambiente l’uso di detergenti chimici. Potrebbe essere utile per igienizzare oggetti quali le tastiere dei computer o i telefonini, visto che non danneggia neppure la plastica. E dato che non è pericolosa per l’uomo potrebbe essere usata senza rischi anche in ambienti chiusi come l’aula di una scuola o la cabina di un aereo. Potrebbe aiutarci quindi a riconquistare quello che più ci manca, cioè una vita normale.