Si chiama terapia forestale, viene dal Giappone e potrebbe trovare casa a Pian dei Termini, sulla montagna pistoiese, con la nascita della prima stazione di terapia forestale della Toscana. L’Informatore ne ha parlato con Francesco Becheri, responsabile scientifico della Stazione di Terapia Forestale nel Comune di San Marcello Piteglio.
Parliamo di terapia perché può essere considerata come una medicina?
Si chiama terapia forestale perché si tratta di una vera medicina preventiva, corredata da anni di ricerche a livello internazionale. Nata in Giappone, si è diffusa a livello mondiale. Parliamo di terapia, perché andiamo al di là del senso comune che ci dice che stare nel verde è sano: qui vengono stabiliti precisi criteri per cui un ambiente forestale di un certo tipo ha determinate ricadute (positive) sulla salute.
Quali sono le ricadute verificabili sulla salute?
La terapia forestale opera su due livelli, quello psicologico e quello fisiologico. Permette di ridurre lo stress percepito a carico dell’organismo grazie ai terpeni, gli oli essenziali rilasciati da piante e alberi, che abbattono l’ormone dello stress, il cortisolo. La terapia inoltre aumenta la produzione di linfociti cosiddetti natural killer, le cellule che combattono le cellule tumorali, i virus e i batteri. In altre parole, rafforza il sistema immunitario.
Non tutte le foreste però sono uguali. Quali funzionano meglio?
I criteri scientifici che definiscono le stazioni di terapia forestale sono stringenti e prendono in considerazione più elementi, come le specie arboree presenti – al momento le conifere stanno dando buoni risultati -, l’altitudine, l’esposizione al vento e al sole, l’umidità, la temperatura, il tutto valutato con specifiche analisi chimiche e fisiche. Nel caso di Pian dei Termini, ad esempio, in questo momento stiamo monitorando la foresta in collaborazione con il Cnr e con l’ausilio di un loro “naso elettronico”. Le stazioni inoltre devono prevedere sentieri accessibili a tutti, senza distinzione di abilità o di età. Sono oggetto di valutazione anche i momenti del giorno in cui è meglio fare la terapia.
Se è una medicina, ci indica la posologia?
La letteratura scientifica ci dice che i primi effetti sul sistema immunitario si rilevano dopo soggiorni di due notti e tre giorni nelle stazioni di terapia forestale certificate, che quindi hanno caratteristiche ben definite. La stimolazione sulle cellule natural killer dura in media un mese.
Si può fare da soli o è meglio guidati?
Dobbiamo distinguere fra una passeggiata nella natura o l’immersione in una foresta, attività senz’altro raccomandabile e che fa bene, e la terapia forestale. In questo caso l’attività si svolge sotto la guida di una figura sanitaria di riferimento.
Il vostro progetto coinvolge anche la Regione Toscana. Perché?
Per vari motivi, fra cui l’impatto economico, visto che una medicina come questa, agendo sulla prevenzione, è potenzialmente in grado di abbattere alcuni costi diretti e indiretti della sanità.
Quando sarà pienamente attiva la stazione? A che punto siamo?
Siamo nella fase del collaudo, che prevede tre parti. La prima consiste nell’analisi chimico-fisica dell’ambiente forestale, ad esempio dei terpeni emessi dagli alberi, ed è già attiva. È in corso anche la certificazione degli effetti sulla salute a livello psicologico, ad esempio per la riduzione dell’ansia, ed è in fase di attivazione quella sul livello fisiologico, con un protocollo che prevede la valutazione degli aspetti legati alla produzione del cortisolo e dei linfociti natural killer.
Il progetto della terapia forestale, multidisciplinare, mette insieme l’Istituto per la bioeconomia del Cnr, il Dipartimento di neuroscienze di psicologia dell’Università di Firenze, il Dagri (Dipartimento di scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali) di Agraria, il comitato tecnico-scientifico del Cai, Uniser Olo universitario di Pistoia, il Comune di San Marcello Piteglio e gli assessorati all’ambiente e alla sanità della Regione Toscana.