Le zucche e i cavoli, nelle loro molteplici varietà, sono fra i tesori dell’orto in inverno. A dispetto delle espressioni che li citano con accezione negativa, come il detto “non valere un cavolo” o “starci come i cavoli a merenda”, riferito a cosa di poco conto o fuori posto.
O ancora “essere una zucca vuota”, per indicare una persona poco sveglia, e “zuccone”, con significato simile, ma usato anche per una testa di grosse dimensioni o senza capelli. Nomignolo attribuito anche alla statua del profeta Abacuc scolpita da Donatello e ospitata al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.
Questi ortaggi (nel caso della zucca si tratta di un frutto) sono alleati della salute e protagonisti di tanti piatti della tradizione toscana. A partire dal cavolo nero, ingrediente distintivo della ribollita, fino alla zucca nella sbroscia, zuppa originaria della Versilia.
La zucca: il maiale dei poveri
Della zucca i contadini non buttavano via nulla e infatti era chiamata “maiale dei poveri”: si sfruttava la polpa per zuppe, minestre, dolci e marmellate, i semi venivano essiccati e salati e, talvolta, si mangiava anche la buccia, se non veniva data agli animali.
Il cavolo: il “medico dei poveri”
Il cavolo era detto “il medico dei poveri”, perché ricco di vitamine e di sostanze salutari. «Negli antichi erbari si racconta anche di usi curativi del cavolo, contro l’avvelenamento o il morso dei cani rabbiosi. Con le foglie si fasciavano le ferite e, nella tradizione egizia e greca, come in quella romana, era usato come rimedio alle ubriacature» racconta Davide Fiorino, responsabile della Biblioteca dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, autore con Daniele Vergari, agronomo, storico e accademico dei Georgofili, del secondo volume della collana edita da Giunti e realizzata da Unicoop Firenze con l’Accademia per promuovere i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Pat) della Toscana.
Nel testo anche un ricettario a cura di Rosalba Gioffré. «La zucca – prosegue Fiorino – veniva svuotata e usata come contenitore, anche per conservare il sale, da cui il detto “avere sale in zucca”. Per i marinai serviva da boa e per i pescatori da “carniere”».
Della coltivazione del cavolo ci sono tracce sin dai tempi degli Etruschi e testimonianze nella tradizione romana, anche se nel tempo ha visto un lento processo di selezione e di ibridazione per arrivare alle forme oggi coltivate. Il cavolfiore sembra giungere in Italia solo nel XV secolo, ma le fonti storiche sono discordanti. Per la zucca, invece, esiste un tipo noto da tempi remoti e un altro che arriva, come la patata e il pomodoro, dal Nuovo Mondo.
Cavoli e zucche sono presenti anche nei ricettari per la nobiltà, come nel cinquecentesco Opera di Bartolomeo Scappi, il “cuoco secreto di papa Pio V”, e sono note “le bizzarrie” di cavoli e zucche del pittore mediceo Bartolomeo Bimbi (1648-1730).
Le otto varietà PAT in Toscana
Ma quante sono le varietà Pat di zucche e cavoli nella nostra regione? «Sono otto: la zucca Lardaia e quella da semi toscana o “zucca da maiali”, il cavolo nero riccio di Toscana, diffuso nelle province di Arezzo e Firenze, e il riccio di Lucca o Braschetta, il cavolfiore precoce toscano e il tardivo fiorentino, detto anche cavolfiore col cappuccio. Poi ci sono il Rapo del Valdarno e il Rapino di Bergiola Foscalino, vicino Carrara. Si tratta per lo più – conclude Vergari – di varietà di nicchia, con diffusione modesta e limitata a particolari zone, però espressione della ricchezza del patrimonio agricolo e della nostra identità».
Zucche e cavoli
Da febbraio, si troverà vicino alle casse del supermercato, disponibile a 1,50 euro o con 50 punti della Carta socio. Prossimo appuntamento con i libri dei PAT ad aprile con Cardi e carciofi.