L’ABC della polenta
«Po-lenta e non po-dura: iniziamo dall’abc perché il cuore della faccenda sta proprio lì. La polenta è quel fiume d’oro fumante, che sprigiona il suo aroma caldo e che, così, tra forchetta e cucchiaio si amalgama, cremosa, a un generoso condimento».
Lo sentite l’odore? È quello di polenta al modo antico, così come ce l’ha descritta lo chef fiorentino Fabio Picchi, che non dimentica mai di friggerne due tocchetti, fra una ribollita, due ceci e una mousse di baccalà. La polenta: quella che ha allevato generazioni e salvato gente e gente dalla fame e che, ancora oggi, attraversa l’Italia, come quelle mode sempreverdi.
Come non bruciarla
«Ve l’immaginate una contadina veneta di una volta che ha tutto quel tempo per stare a girare la polenta sul fuoco per due ore? In verità si cuoceva da sola, nel paiolo sopra il fuoco quasi spento. Oggi messa sul gas e nell’acciaio, certo che si attacca e si brucia!» prosegue Picchi, che svela il segreto per una polenta perfetta senza fatica.
«Dopo che ha preso il primo bollore a fiamma alta, abbassare il calore e mettere sul fornello uno spargifiamma o un po’ di carta argentata piegata 3 o 4 volte. Facile no? La polenta continua a sobbollire lentamente, ma non si brucia e non si attacca: sul fondo fa un po’ di crosticina e guai a chi la butta, perché è una bontà pure quella!».
Storie di Garfagnana
E se un segreto sta fra paiolo e fiamma, la bontà inizia dai campi, quelli della Garfagnana dai quali arriva una polenta speciale: quella di mais otto file, riscoperto intorno al 2000, quando ormai era una coltivazione quasi abbandonata. Una trentina di piccoli produttori coltivano e conferiscono alla Garfagnana Coop, punto di raccordo e snodo per la commercializzazione del prodotto.
A venti anni dalla rinascita il bilancio è più che positivo, come spiega Lorenzo Satti, presidente della cooperativa: «È un prodotto di nicchia, rinato grazie a un progetto di Unicoop Firenze che ci ha dato uno sbocco sul mercato e una grande vetrina per farci conoscere. Così, i tanti produttori hanno ripreso le piccole coltivazioni e oggi siamo presenti, in esclusiva sui banchi di Unicoop Firenze, con circa 200 quintali l’anno».
Mais otto file
Eccellenza tipica della Garfagnana, che ha un microclima ideale per il mais otto file, è detto anche formenton: «Si chiama così – continua Satti – perché la pannocchia ha otto file di chicchi, a differenza dell’altro che ne ha 12 o 14. La mietitrebbia spezzerebbe il chicco che è più grande, meno vitreo e più farinaceo, quindi è raccolto solo a mano. Viene essiccato al sole, non al forno, e macinato solo a pietra a 120 giri al minuto, perché la macinatura a cilindri farebbe perdere gli aromi unici che siamo fieri di portare ancora sulla tavola dei consumatori».
Buona in tutti i modi
«La polenta è buona in tutti i modi: con il sugo mi fa fare dei chilometri, con l’olio è poesia, la farinata poi! Con il cavolo nero e l’olio nuovo è il paradiso in terra! Deliziosa con burro, parmigiano e un po’ di cannella nell’acqua di cottura. Il giorno dopo, rifatta fritta, arrosto o pasticciata, con ragù, formaggio, funghi, fate voi! Così la faceva la mia nonna, figlia di un fattore dell’Incisa: due litri d’acqua, mezzo chilo di farina, 20 grammi di sale, 45 minuti di cottura. Provate così, che quella di mia nonna era una signora polenta!» conclude Picchi.
L’origine della parola
È possibile che il termine polenta derivi dalla parola tedesca pollen ovvero fior di farina ma, tra i linguisti, c’è chi sostiene che discenda dal vocabolo puls con il quale i latini chiamavano un impasto a base di farro menzionato da Plinio e da Apicio.