Menù delle feste: i consigli di tre maestri gourmet in Toscana

Ne abbiamo intervistati tre: Andrea Campani dell'Osteria del Borro di San Giustino Valdarno, Filippo Saporito de La Leggenda dei Frati di Firenze e Paolo sacchetti della Pasticceria Caffè Nuovo Mondo di Prato

Non è festa se… a tavola non c’è… e nell’Italia dei mille campanili, sono molti e vari i piatti e i menù tipici delle feste. E se ogni casa ha i suoi riti e i suoi cibi immancabili, la tradizione bolle in pentola anche nelle cucine dei gran maestri cuochi e pasticceri: ne abbiamo intervistati tre per scoprire la ricetta che non può mancare su una tavola nazional-toscana di fine e inizio d’anno.

Andrea Campani, foto V. Raniolo


Andrea Campani, Osteria Del Borro, San Giustino Valdarno

Il periodo delle feste è la più classica delle tradizioni, è un ricordo d’infanzia pieno di buoni sapori che cerco di mantenere intatti anche nei piatti della mia cucina. Tra i tanti sapori che ricordo e riporto ogni anno nella mia cucina, i classici crostini di fegatini, il cotechino e l’immancabile arrosto. E’ un insieme di aromi e profumi di famiglia che cerco di ricreare nei miei piatti, perché, anche al ristorante, la tavola deve sapere di casa e sapori autentici. Sarà che in questo periodo di festa, da bambino, ero così felice, che, cucinando, mi pare di restituire agli altri un po’ di quella felicità. Negli anni, ho cercato di rielaborare questi piatti ma senza scostarmi troppo dalle ricette originarie.

Tra i tanti piatti, uno dei classici è il collo di pollo ripieno, che rimanda alla tradizione povera del bollito, da cui si recuperava tutto e non si buttava proprio niente. Ancora, per dare nobiltà al secondo, anziché il classico arrosto, porto a tavola il piccione, condito con burro chiarificato e erbe e cotto nel forno a legna. E poi, immancabile durante le feste è il tortellino in brodo di cappone. Per prepararlo faccio una sfoglia con tanti tuorli e, per il ripieno, parto da un fondo con verdure bianche: aglio, porro, scalogno soffritti con un po’ di grasso del brodo; aggiungo poi il cappone già lessato, pelle compresa e ammorbidisco con il brodo, per frullare il tutto in una crema densa che aggiusto con parmigiano, un pizzico di noce moscata e l’uovo. Mi diverto poi nella presentazione: ad esempio, dal brodo del cappone ricavo una gelatina morbidissima che si scioglie, servita sopra ai tortellini bollenti. Sono variazioni sul tema che rendono originale il meglio della nostra tradizione.

Filippo Saporito

Filippo Saporito, La Leggenda dei Frati, Firenze

Per chi fa il mio lavoro, i giorni di festa sono giorni di lavoro intenso, in cui la cucina si riempie di mille aromi e colori. Io, personalmente, ho trascorso le feste ai fornelli dall’età dei 15 anni, quando ho iniziato a lavorare in cucina. Più che singoli piatti, delle feste ricordo i tanti buoni ingredienti, quelli rendono omaggio alla generosità della natura e che sono alla base della nostra cucina tradizionale. Fra i tanti ingredienti ad esempio le castagne e, con loro la farina. E’ un cibo povero che ha sfamato tante generazioni e che può diventare tutto: da una pasta con farina di castagne, al marron glacé, a un ripieno per la carne, in una varietà di piatti umili e meravigliosi. Poi, ancora, l’uovo, elemento base in cucina: penso alla stracciatella in brodo, che, nei giorni di festa, a casa mia si mangiava arricchita con molto formaggio. Penso alla frutta secca, regina del panforte e dei ricciarelli toscani.

E poi, per le feste, a casa e al ristorante, non manca mai la tradizione della parmigiana di gobbi che racconta anche la mia storia di famiglia, a metà tra centro e sud Italia. Mia mamma, siciliana, la faceva bella saporita, nella versione con il sugo semplice, mentre di mia suocera è la versione umbra, con il ragù molto stretto e con pochissima carne. Ma la base è la stessa per tutti: il gobbo, ortaggio pregiato che durante la coltivazione, viene interrato e ripiegato sotto terra: da qui il nome, il colore chiaro, un sapore più gentile e meno amaro del cardo. Pomodoro, formaggio e pochi altri ingredienti per una ricetta che, da sola, è la regina dei piatti unici ma che sposa a meraviglia un secondo di carne.

E dopo tutto questo, quello che a tavola non può proprio mancare, è un buon vino per brindare!

Paolo Sacchetti

Paolo Sacchetti, Pasticceria Caffè Nuovo Mondo, Prato

Sono originario del Valdarno e ricordo che da piccolo non c’era domenica senza la pesca. A quei tempi erano grandi, sontuose, dolcissime: a tavola erano il segno della festa, un lusso per la gola. Negli anni ’80, poi, ho lavorato nella pasticceria Picchiani di Sesto Fiorentino e anche lì le facevamo: erano delle signore pesche, con pasta brioche, inzuppate poco giusto per dare colore, ma farcite con una crema dolce e molto ricca. Poi è arrivato il tempo della “nuova pasticceria”, quella dello sfizio di gola, più piccolo, più leggero e più ricercato e così ho rielaborato le pesche della tradizione nella mia versione di pesca che ho portato in giro per l’Italia e per il mondo. E girando ho scoperto che la pesca è una “chicca” internazionale: in tante versioni diverse, ma le ho assaggiate ovunque, dalla Romagna al Salento, dalla Francia alla Russia. Dall”89 io faccio la mia versione “alleggerita”, con la pasta brioche con lievito madre, imbevuta con una bagna di alchermes dell’Officina di Santa Maria Novella e farcita con una crema meno dolce e più delicata, fatta nella caldaia di rame, girata ancora a mano con la frusta. Tutti i giorni preparo almeno 12 litri di crema perché per le pesche, non c’è stagione.

Che sia Natale, Capodanno o un compleanno, sta bene a tavola tutto l’anno. Per le feste non può mancare poi il panettone. Ma siccome noi toscani facciamo le cose a modo nostro, io porto a tavola il Giulebbe, la mia versione del panettone con ingredienti tutti toscani, presentato nel 2002 al Salone del Gusto di Torino: uvetta e canditi sono sostituiti dalle noci della Val Bisenzio, dai pinoli di San Rossore e dai fichi di Carmignano, presidio Slowfood del territorio pratese. L’impasto è come quello del panettone ma è un Giulebbe, toscano nel gusto e nel nome: il nome l’ho rubato a mio zio, cantiniere di casa che definiva giulebbe un’uva particolarmente dolce. In realtà il giulebbe è uno sciroppo dolcissimo a base di frutta, ma per estensione, per dire che una cosa è buona a Prato si dice “L’è un giulebbe!”. Se dopo il Giulebbe, per le feste vogliamo strafare… sfogliatina con crema chantilly allo zabaione e pan di spagna inzuppato con bagna al vinsanto e ricoperta di crema chantilly e barrette di sfogliatine caramellate. Dopo un anno così amaro, che il dolce abbondi nel nuovo anno!

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