Cotolette impanate: da Milano a Palermo e Oltralpe

Celebre è la milanese, ma in Italia (e nel mondo) ci sono infinite varianti della cotoletta. Alcuni consigli per realizzare una panatura perfetta

Spesso andiamo a caccia di sapori cosmopoliti, ma alla fine il piatto più internazionale di tutti l’abbiamo sempre avuto sotto il naso. Non esiste angolo del mondo in cui non sia apprezzata la consistenza croccante e la bionda panatura della cotoletta, o meglio “costoletta” se vogliamo essere puntigliosi, poiché questo termine deriva dal francese côtelette, piccola costola (côte). Non fatevi fuorviare dalle versioni con il pollo, a cui per estensione oggi si è soliti riferire l’espressione, in origine a essere tuffato nell’uovo sbattuto e passato nel pangrattato era soltanto il magro con l’osso.

Bontà globale

Chiedete a un lombardo e vi cancellerà ogni dubbio. Una milanese come si deve è preparata rigorosamente con la costoletta di vitello, ottenendo dalla lombata o dal carré fette alte con l’osso che sono poi battute, ma non troppo (se la carne è tagliata sottile, i meneghini la chiamano “orecchia d’elefante”). È fritta, per essere ligi alla tradizione, nel burro chiarificato.

Una pietanza talmente famosa che gli italiani emigrando in Sud America hanno portato con sé la “milanesa”, una parola con cui ora dall’Argentina al Perù si indica un lungo elenco di tipi differenti di carni impanate e – ovviamente – fritte. Di varianti ne esistono migliaia in tutto il globo, basta prendere d’esempio il giapponese tonkatsu, tipica cotoletta di maiale, immersa nell’uovo e ricoperta di panko, particolare pangrattato che non assorbe olio.

Milanese, viennese o palermitana?

Tornando dalle nostre parti, si gioca un derby tutto europeo tra la cotoletta milanese e la viennese, Wiener Schnitzel. La prima, secondo alcuni, sarebbe comparsa già nel Medioevo per poi venire esportata a Vienna da Josef Radetzky, governatore del Lombardo-Veneto. Al contrario gli austriaci ritengono che la nostrana derivi dalla viennese, che però non solo è più sottile, ma può anche essere di carne di maiale e non solo di vitello. A complicare la disputa sono i francesi che sostengono di aver portato a Milano, durante la dominazione napoleonica, la loro cotoletta, marinata in burro fuso e spezie. Fatto sta che l’Italia è piena di ricette regionali.

La valdostana è con l’osso e arricchita da fontina e prosciutto cotto, quella bolognese, detta anche “petroniana”, è una fesa di vitello senz’osso, resa sottile dalla battitura e insaporita da prosciutto crudo, parmigiano e un mestolo di brodo. La napoletana è guarnita con prosciutto, salsa, origano e formaggio (mozzarella per alcuni), mentre la palermitana (manzo, pollo, maiale o vitello) sembrerebbe più leggera: ricoperta da un mix di pane grattugiato, pecorino ed erbe aromatiche, non ha uovo ed è cotta alla griglia o in forno.

Impanato sì, ma anche senza glutine

Tradizione a parte, ormai per il “grande pubblico” la cotoletta è senza osso: si usano tagli e tipi diversi di carne, dal manzo al petto di pollo, dalla lonza di suino alla fesa di tacchino. Per chi cerca una soluzione pratica, nei punti vendita di Unicoop Firenze sono disponibili proposte già pronte per essere cucinate. La più apprezzata è senza dubbio la Grancotoletta Coop, da pollo italiano, allevato senza l’uso di antibiotici.

Nei negozi più grandi l’assortimento offre, fra le altre cose, il biologico, come le crocchette di pollo Vivi verde e le cotolette di pollo Fileni, e una linea di carne con impanatura senza glutine, prodotta da un fornitore toscano (fette di petto di pollo, bovino o lonza di maiale).

E se si parla di pangrattato, non vanno dimenticati due prodotti di punta del “Banco del gusto” con questo ingrediente: polpettone e polpette.

Come realizzare una panatura perfetta

Il nemico numero uno è l’umidità: lavorate la carne quando non è troppo fredda e tamponatela accuratamente con carta assorbente. Dopo aver battuto le fettine, infarinatele. Passatele prima nell’uovo sbattuto, scolandole per eliminare quello in eccesso, e poi nel pangrattato, ma non troppo in anticipo per evitare che si bagni.

Per una doppia panatura e una crosta bella spessa, ripetete il passaggio uovo-pangrattato. E infine friggete con olio abbondante e ben caldo (165-180°C). Da provare con l’aggiunta di erbe aromatiche, semi o i fiocchi di cereali.

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