Cosa è?
È un insaccato tipico calabrese, morbido e spalmabile, con un intenso sapore piccante e affumicato, realizzato con carne di maiale, sale e peperoncino, che glile conferisce il suo colore rosso. Rinomata specialità dell’altopiano del Poro, trova la sua massima espressione a Spilinga (Vibo Valentia), considerata la sua capitale che, ad agosto, ospita la celebre “Sagra della ‘nduja”.
Nel 2010 la ‘nduja calabrese ha ottenuto dall’Ue il riconoscimento Dop, che ne attesta l’autenticità e il suo forte legame con il territorio. Insomma, è il prodotto che un vero calabrese spalmerebbe anche sulle fette biscottate.
Come viene preparata?
È fatta di tagli di maiale come il guanciale, la pancetta e quelli ricavati dalla spalla, dalla coscia, dalla testa e dal sottopancia, come da tradizione contadina che non sprecava nulla. La carne viene macinata finemente e miscelata con sale, spezie e abbondante peperoncino piccante, che funziona da conservante naturale.
Questo mix viene insaccato in budelli e lasciato stagionare da un minimo di tre mesi a un massimo di sei, in base al volume degli insaccati. Grazie alla stagionatura, in un locale fresco e asciutto, la ‘nduja sviluppa il suo caratteristico aroma e sapore… per palati audaci!
Che origine ha?
C’è chi dice che venga prodotta in Calabria fin dal 13° secolo, ma alcuni tracciano la sua origine all’inizio dell’Ottocento, durante l’invasione napoleonica in Calabria. Si racconta che Gioacchino Murat, nominato re di Napoli da Napoleone, introdusse in Calabria la andouille, un salume che poi i calabresi adattarono, sostituendo le frattaglie con carne di maiale e aggiungendo abbondante peperoncino per dare la piccantezza distintiva della ‘nduja. Grazie alla sua versatilità in cucina, nel tempo ha guadagnato popolarità ben oltre i confini italiani, diventando un simbolo della cucina calabrese nel mondo.
Perché si chiama così?
È plausibile che il termine ‘nduja derivi dal francese andouille, un insaccato preparato in origine con frattaglie di maiale. Secondo alcuni, entrambi i vocaboli, andouille e ‘nduja, traggono origine dal latino inductilia che significa letteralmente “cose pronte per essere introdotte”, da inducere. Secondo altri il nome ‘nduja è collegato a un altro insaccato piemontese di carne e spezie, il salam dla duja, dove doja – dal latino dolium – era il vaso di coccio in cui il salame era conservato immerso nel grasso. E se la piccantezza vi toglie la parola, smorzatela, mai con l’acqua, ma con un buon rosso.
Come consumarla?
La sua consistenza morbida la rende perfetta per esprimere la creatività in cucina: in purezza, può essere ammorbidita e spalmata sul pane abbrustolito. Per ricette decise, può essere aggiunta a salse, ragù e sughi per pasta e risotti o all’impasto per le verdure ripiene.
Tagliata in piccoli pezzi, arricchisce insalate di pasta o di riso freddi, mentre ammorbidita in padella con olio e aglio è ottima per preparare un soffritto più che saporito. Chi osa di più la mette anche nella frittata o sulla pizza, in un piacevole contrasto con altri ingredienti come formaggi, verdure o salumi più delicati.