Metti un compleanno bicentenario, una banda di chef e foodblogger e Firenze che fa da madrina… e l’evento è assicurato. L’ospite d’onore è un sempreverde, di quelli che fanno il giro del mondo e delle tavole e non tramontano mai: di nome Pellegrino, Artusi di cognome, che a Forlimpopoli ebbe i natali ma che scelse Firenze dove si trasferì con la sua famiglia e, dal 1851 visse, cucinò e scrisse; e dove, dal 1911, riposa, nel cimitero di San Miniato al Monte. E’ lui, l’ospite immaginario ma, nella memoria sempre vivo, dell’evento in calendario per il 4 agosto in Piazza D’Azeglio dove Artusi abitò a lungo e fino alla fine dei suoi giorni: dalle 9.30 a festeggiarlo saranno i rappresentanti del Comune di Firenze che ha organizzato le celebrazioni, in collaborazione con Luisanna Messeri, promotrice dell’evento.
Insieme a loro, molti cuochi fiorentini e toscani che ricorderanno il Maestro con una serenata eseguita con pentole e coperchi, attrezzi del mestiere. Al temine della celebrazione, Luisanna Messeri converserà con enogastronomi e esperti del settore fra i quali anche il professore Zeffiro Ciuffoletti con un intervento sul ruolo giocato dall’Artusi nella cultura italiana. Al termine della cerimonia, sorrisi, brindisi e colazione artusiana per tutti, offerta da Unicoop Firenze e altre imprese del territorio che hanno collaborato all’evento.
Chi era Pellegrino?
Nacque a Forlimpopoli, nell’allora Stato Pontificio, figlio di un droghiere benestante, Agostino (detto Buratèl, cioè “piccola anguilla”) e di Teresa Giunchi, natia di Bertinoro, in una famiglia numerosa: 12 fratelli; fu chiamato Pellegrino in onore del santo forlivese Pellegrino Laziosi. Dal 1851 con la famiglia si stabilì a Firenze dove dove rilevò un banco di vendita di seta in Via de Calaziuoli. Quando Firenze diventa capitale nel 1865 Artusi decise di lasciare la mai amata attività commerciale e prima del 1870, neanche cinquantenne, Artusi si ritirò a vita privata per godere il frutto delle sue fatiche. Fu in questi anni che si dedicò al suo “manuale” La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicato per la prima volta nel 1891. Dopo un inizio lento, ebbe un successo travolgente e oggi è considerata la prima trattazione gastronomica dell’Italia unita, e inserita a pieno titolo nel canone della letteratura italiana. Nell’arco di 20 anni, e sempre pubblicate a proprie spese, Artusi curò ben 15 edizioni, aggiornate in continuazione nel linguaggio e nelle ricette. Ancora oggi il manuale è ininterrottamente editato e tradotto in diverse lingue.
Minestrone e pandemia
A ogni tempo la sua pandemia e anche Pellegrino ebbe occasione di scoprirne una: l’aneddoto è una testimonianza dello stesso Artusi riguardo ad una sua disavventura, avvenuta durante la stagione dei bagni a Livorno, nel 1855, quando lo stesso gastronomo entrò a diretto contatto con il colera che in quegli anni mieteva molte vittime in Italia. Giunto a Livorno, Artusi si recò in una trattoria per cenare; dopo avere consumato il minestrone, decise di prendere alloggio presso la palazzina di un certo Domenici in piazza del Voltone. Come Artusi testimonia, passò la notte in preda a forti dolori di stomaco e diede la colpa per questi ultimi al minestrone. Il giorno dopo, di ritorno a Firenze, gli giunse la notizia che Livorno era stata colpita dal colera e che il Domenici ne era caduto vittima. Fu allora che capì che non era stato il minestrone, ma erano i primi sintomi del colera a procurargli i dolori intestinali. L’episodio convinse l’Artusi a scrivere una personale e celebre ricetta del minestrone.
Ricetta n° 47, da “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi
Il minestrone
«Il minestrone mi richiama alla memoria un anno di pubbliche angoscie e un caso mio singolare. Mi trovavo a Livorno al tempo delle bagnature l’anno di grazia 1855, e il colera che serpeggiava qua e là in qualche provincia d’Italia, teneva ognuno in timore di un’invasione generale che poi non si fece aspettare a lungo. Un sabato sera entro in una trattoria e dimando: – Che c’è di minestra? – Il minestrone, – mi fu risposto. – Ben venga il minestrone, – diss’io.
Pranzai e, fatta una passeggiata, me ne andai a dormire. Avevo preso alloggio in Piazza del Voltone in una palazzina tutta bianca e nuovissima tenuta da un certo Domenici; ma la notte cominciai a sentirmi una rivoluzione in corpo da fare spavento; laonde passeggiate continue a quel gabinetto che più propriamente in Italia si dovrebbe chiamar luogo scomodo e non luogo comodo. – Maledetto minestrone, non mi buscheri più! – andavo spesso esclamando pieno di mal animo contro di lui che era forse del tutto innocente e senza colpa veruna. Fatto giorno e sentendomi estenuato, presi la corsa del primo treno e scappai a Firenze ove mi sentii subito riavere. Il lunedì giunge la triste notizia che il colera è scoppiato a Livorno e per primo n’è stato colpito a morte il Domenici.
– Altro che minestrone! – Dopo tre prove, perfezionandolo sempre, ecco come lo avrei composto a gusto mio: padronissimi di modificarlo a modo vostro a seconda del gusto d’ogni paese e degli ortaggi che vi si trovano. Mettete il solito lesso e per primo cuocete a parte nel brodo un pugnello di fagiuoli sgranati ossia freschi: se sono secchi date loro mezza cottura nell’acqua. Trinciate a striscie sottili cavolo verzotto, spinaci e poca bietola, teneteli in molle nell’acqua fresca, poi metteteli in una cazzaruola all’asciutto e fatta che abbiano l’acqua sul fuoco, scolateli bene strizzandoli col mestolo. Se trattasi di una minestra per quattro o cinque persone, preparate un battuto con grammi 40 di prosciutto grasso, uno spicchio d’aglio, un pizzico di prezzemolo, fatelo soffriggere, poi versatelo nella detta cazzaruola insieme con sedano, carota, una patata, uno zucchino e pochissima cipolla, il tutto tagliato a sottili e corti filetti.
Aggiungete i fagiuoli, e, se credete, qualche cotenna di maiale come alcuni usano, un poco di sugo di pomodoro, o conserva, condite con pepe e sale e fate cuocere il tutto con brodo. Per ultimo versate riso in quantità sufficiente onde il minestrone riesca quasi asciutto e prima di levarlo gettate nel medesimo un buon pizzico di parmigiano. Vi avverto però che questa non è minestra per gli stomachi deboli».
A Forlimpopoli, città Natale dell’Artusi, si tiene in questi giorni la la XXIV edizione della Festa Artusiana – cultura a tavola, con eventi di gastronomia, spettacoli, incontri, dedicati al Maestro della Cucina.
Info: http://www.festartusiana.it/