Anno 1943: nella Bologna dei tortellini e dei caffè all’angolo, ma anche degli intrighi, delle camicie nere, del coprifuoco e della guerra. Un’estate torbida e di attese, in cui il commissario De Luca è alle prese con un nuovo doppio caso.
In Peccato mortale, senza analisi del Dna e intercettazioni telefoniche, la penna di Carlo Lucarelli spinge il suo personaggio tra le pieghe del passato: un faccia a faccia con la storia che richiama tutti a una riflessione collettiva.
E svela un volto nuovo del commissario che difende la legge come l’ha sempre difesa e, nonostante tutto, si ostina a dire: «Sono un poliziotto». La sua frase preferita e forse anche la sua giustificazione.
Come ha scelto l’ambientazione del romanzo?
Volevo tornare indietro nel passato del mio personaggio e scoprire cosa aveva combinato durante il periodo fascista: mi sono messo a “spulciare” dal 1928, quando De Luca è entrato in polizia, fino al 1945, anno del romanzo di esordio. Così ho incontrato quel periodo lì, tra il 25 luglio, caduta di Mussolini, e l’8 settembre del 1943, l’arrivo dei tedeschi.
Perché proprio quel momento storico?
È una fase storica poco conosciuta e raccontata, un periodo di contraddizioni, di sospensione totale e di grandi attese: la gente pensa che succederà qualcosa, che la guerra, la carestia e i bombardamenti finiranno e invece continua tutto uguale, finché non arrivano i tedeschi e si apre l’ultimo inverno.
Perché proprio ora ha deciso di narrarlo?
In verità ho cominciato a scrivere per fare i conti con il mio personaggio. Poi mi sono reso conto che era molto attuale, perché certi nodi di quel dibattito sono ancora oggi sui giornali: fascismo, antifascismo, compromesso con i regimi…
Come si troverebbe oggi il commissario De Luca?
Oggi ne possiamo almeno dibattere dentro i confini della democrazia. Ma si troverebbe come allora: accecato dal suo istinto di fare luce sul mistero, di compiere a tutti i costi il suo dovere di poliziotto, ignaro di quello che gli accade intorno.
Un po’ giallo e un po’ romanzo storico quindi…
Il giallo è una scusa per parlare di tante cose: la macchina narrativa del giallo è perfetta per raccontare bene una storia o per raccontare “la Storia”, soprattutto in Italia perché molti momenti storici hanno un risvolto noir, misterioso. La nostra storia è per metà quella dei misteri italiani. Quindi, anche il giallo fa la sua parte per ricostruire ciò che siamo stati.
Se De Luca fosse qui dove lo incontrerebbe e di che parlereste?
Lo incontrerei a Bologna, in qualche caffè perché il commissario è appassionato di caffè. Non sarebbe un dialogo facile: lui non è così simpatico e fa scelte che non sono le mie. Gli chiederei conto di quelle scelte, che fa scavalcando la mia penna. Perché i personaggi fanno così: nascono da un’idea dello scrittore ma poi vivono di vita propria. Lo scrittore può solo ascoltare la storia e raccontarla come vogliono loro.
Quale sarà la prossima indagine dello scrittore Lucarelli e a chi la farà fare?
Ancora al commissario De Luca perché ho chiuso questo romanzo con delle domande sospese su un grande pezzo di storia che si apre dopo l’8 settembre. Il prossimo, che sto scrivendo, è ambientato nel dicembre 1944 e il commissario è alle prese con un altro piccolo, grande capitolo della Storia.
Un consiglio per un giovane scrittore.
Tre consigli: leggere, perché apre un mondo di esplorazione senza limiti. Poi scrivere, perché la pratica è il modo per affinare la propria capacità di raccontare e bene. Ultimo: farsi leggere e non solo dalla cerchia di lettori già affezionati. In sintesi: lavorare, con le parole. E dentro le parole.