Storie di ordinaria cooperazione, quella che non aspetta un grande eroe al comando, ma scatta tutti i giorni, da piccoli episodi di vita. Storie che non passeranno alla Storia, ma che capitano nel quotidiano e cambiano il mondo in meglio.
Sono queste le umane faccende che la scrittrice Michela Murgia racconta ai giovani con il suo ultimo libro “Noi siamo tempesta“. Sarda di Cabras, in provincia di Oristano, classe non si dice ma di quattro decine e poco più, vincitrice di vari premi letterari fra cui il Campiello 2010, si è fatta una fama in Italia e nel mondo, lavorando sodo da quando aveva 14 anni. Per pagarsi gli studi ha fatto di tutto, dai call center, al porta a porta, agli alberghi come portiere di notte. Di vita ne ha vista passare e ne ha fatta passare dalla sua penna che le ha aperto le porte di editoria, tv, radio e teatro.
E, ovviamente, del mondo social dove migliaia di fan la seguono, come @michimurgia, Kelledda o @KelleddaMurgia, in continuo movimento fra un viaggio e l’altro, un incontro e uno spettacolo.
Nel suo ultimo libro, Noi siamo tempesta, parla ai ragazzi e parla di cooperazione. Perché?
Il libro è nato dall’esigenza di immaginare una generazione capace di sognare delle storie collettive. Non storie di eroi dove essere speciali da soli, ma storie di collaborazione dove il super potere sia stare insieme. Siamo poco abituati a collaborare: la nostra società non ce lo insegna e diamo forma a società dove collaborare è difficile.
Sedici storie dove vince chi collabora. Qual è il segreto del successo?
Innanzitutto non è vincere, quello si può fare anche da soli. Il successo, invece, è produrre un cambiamento e quello lo si può fare solo insieme. Chi vuole cambiare il mondo, deve imparare il superpotere di mettere d’accordo gli altri.
Qualche esempio che ritroviamo fra le pagine del libro…
Wikipedia, l’enciclopedia creata dal basso, la caduta del muro di Berlino, le vicende delle madri di Plaza de Mayo o quelle della nave Mare Jonio che parla di accoglienza e diritti. Cooperazione spontanea, come quella dell’atleta bianco Peter Norman che alle Olimpiadi del ’68 si schierò con gli atleti neri Smith e Carlos per la loro battaglia sui diritti umani.
Eppure la storia ricorda soprattutto i grandi eroi…
Questo libro è un tentativo di bibliodiversità, proprio per ricordare che la differenza è meglio dell’omogeneità. Sempre.
È un libro per ragazzi?
Il desiderio era parlare ai ragazzi tra i 9 e i 14 anni, perché è in mano a loro anche il futuro di chi ne ha 50. La nostra società, tutta, ha bisogno di qualche seme di buona cooperazione. In realtà, poi, i libri buoni sono per tutti e i libri brutti per nessuno; e chi scrive, lo fa sperando di essere letto da tutti.
Ogni storia è illustrata: che ruolo hanno le immagini nel libro ai tempi del digitale?
Rispondo pensando al mio nipotino che, a 4 anni, sfogliando un giornale, cercava di allargare le immagini con le dita: il giornale era un ipad che non funzionava. Oggi i giovani parlano più linguaggi insieme e usano strumenti essenzialmente grafici e fotografici. Pensare di comunicare solo con le parole è illusorio.
Lei incontra spesso i giovani: che impressioni ricava dall’incontro con le scuole?
Vado nelle scuole ogni volta che posso, per parlare dei libri, miei o degli altri. Penso che queste occasioni di scambio e crescita non dovrebbero essere straordinarie, legate alla buona volontà di qualche docente. Più in generale, servirebbe più rispetto sociale intorno all’atto dell’insegnare e dell’imparare a scuola. Fino a qualche decennio fa era l’unico modo per migliorare la propria posizione sociale. Oggi è percepito come pedaggio obbligatorio, prima di entrare nel mondo del lavoro. E in una società dove l’ignoranza non è più un difetto, insegnare non è più una virtù.
Un eroe che salva il mondo da solo: chi sarebbe?
Non riesco a immaginarlo. Ne avrei paura. Un mondo che si salva attraverso un solo capo superpotente, sarebbe un mondo di servi.
Giovanna d’Arco, Mary Poppins, Wonder Woman: lei che eroina vorrebbe essere?
Una con il super potere di convincere gli altri a fare qualcosa insieme.
Dove e quando scrive?
Nella mia casa, in Sardegna, chiusa in una stanza, in silenzio, e scrivo di notte, per la maggior parte. Non per vezzo ma per un’abitudine che mi è rimasta dopo tanti anni di lavoro come portiere di notte. Non dormo, mi isolo, mangio il minimo: quando scrivo, scrivo.
A proposito di mangiare, fra le tante sue attività, anche un corso su cibo e libri…
Sì, più libri e anche una taglia in più! È un corso sui libri in cui la cucina ha un ruolo. Penso a Gabriella garofano e cannella e a tanti altri libri dove il cibo è una metafora per le relazioni, per la vita. I piatti migliori rispondono al principio di necessità, tre quarti della cucina italiana sono fatti con gli avanzi. Bisogna cominciare a scrivere con quello di te che butteresti via.