Formaggi con latte crudo

Attenti, ma senza paura: facciamo chiarezza

Notizie di stampa nei mesi scorsi hanno fatto allarmare molti consumatori, soprattutto genitori, perché nel nord Italia alcuni bambini sono rimasti gravemente intossicati dopo aver mangiato del formaggio fatto con latte crudo. Preoccuparsi, in questi casi, viene spontaneo, ma la cosa importante è informarsi e tutelarsi. 

Cosa si intende per latte crudo?

Innanzi tutto, è bene sapere che per latte crudo si intende latte non pastorizzato, che cioè non ha subito trattamenti termici per abbattere la carica batterica.

Oltre ai formaggi artigianali a pasta molle tipici delle montagne alpine, possono essere prodotti con questo tipo di latte anche altri che siamo abituati a mettere sulle nostre tavole, come Brie, Fontina, Taleggio, Asiago, Camembert, tome, alcuni pecorini e robiole, talvolta anche la Mozzarella di bufala. Persino Parmigiano e Grana, per i quali il latte crudo è previsto proprio dal disciplinare con cui ottengono la Dop. 

Se il latte ha caratteristiche di salubrità all’origine, se vengono rispettate adeguate norme igieniche durante la lavorazione, e soprattutto se segue un congruo periodo di stagionatura, il pericolo diventa quasi nullo, perché i batteri che causano le intossicazioni, soprattutto Escherichia coli, Salmonella e Listeria, non sopravvivono nel tempo. E, infatti, Parmigiano e Grana, che hanno un invecchiamento minimo di 12 mesi, sono considerati sicuri al punto da introdurli nella dieta dello svezzamento, proprio in virtù della lunga stagionatura (in questo caso si raccomanda quello con 36 mesi di invecchiamento). 

I tempi di stagionatura variano da formaggio a formaggio: per l’Emmentaler Dop sono previsti almeno 120 giorni, per la Fontina valdostana Dop 80, per il Fiore sardo Dop 90, per la Toma piemontese Dop 60. In alcuni Paesi, europei ed extraeuropei, i 60 giorni sono considerati il tempo minimo per garantire un consumo sicuro.

L’etichetta aiuta

Per fare chiarezza sull’argomento, non facile a dir la verità, ci siamo consultati con la dietista nutrizionista Elisa Spaghetti: «Intanto sfatiamo il mito secondo il quale il prodotto pastorizzato perda in qualità: oggi il processo di pastorizzazione è molto rapido e non degrada né le proprietà organolettiche né il patrimonio vitaminico, proteico e di sali minerali del prodotto finale». 

Ciononostante, per alcuni formaggi si continua a usare il latte crudo: sarebbe quindi utile che questo fosse chiaramente indicato nell’etichetta, per poter scegliere in maniera consapevole. Questo vale ancora di più per alcune categorie di persone: bambini fino a dieci anni, anziani, donne in gravidanza, persone con sistema immunitario compromesso, perché alcuni batteri, che in una persona adulta e sana possono dare sintomi lievi, in un’altra potrebbero determinare una grave tossinfezione alimentare, con forti disturbi gastrointestinali, fino a complicazioni persino mortali. Anche terapie antibiotiche o con cortisone, che alterano la flora batterica e diminuiscono le difese immunitarie, possono esporre una persona altrimenti sana al rischio di non reagire adeguatamente all’infezione. 

Attualmente un tavolo tecnico di esperti è stato istituito dal governo italiano con l’obiettivo di inserire nelle etichette adeguate informazioni. In Francia, dove i formaggi freschi da latte crudo sono molto diffusi, è obbligatoria un’etichetta che ne ricorda la pericolosità per i bambini, in particolare quelli sotto i cinque anni. 

Nell’attesa, come comportarsi con formaggi a latte crudo che non prevedono la stagionatura? La cautela è d’obbligo per le categorie a rischio e, «se non ci sentiamo sicuri di come il formaggio è stato prodotto, possiamo ricorrere alla cottura» consiglia Elisa Spaghetti. Fra l’altro un’adeguata cottura è consigliabile anche per altri alimenti, visto che i batteri ricordati sopra possono essere contenuti anche nella carne o nel pesce.

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