Cos’è?
Conosciuta anche come piada, è ottenuta dalla lavorazione e dalla cottura su piastre di un impasto, steso in forma rotonda, a base di farina di grano tenero, acqua, sale, grassi (strutto o olio) e alcuni ingredienti opzionali, come bicarbonato o amido di mais: assolutamente vietato qualsiasi altro additivo o lievito! Ne esistono due tipi: la piadina romagnola, con diametro da 15 a 25 centimetri e spessore da 4 a 8 millimetri, è spessa, compatta e rimane molto friabile. Quella riminese, dal diametro da 23 a 30 centimetri e spessore fino a 3 millimetri, è invece morbida, sottile e flessibile.
Come viene preparata?
Dopo l’impasto e la porzionatura in pani o palline, la piadina viene stesa con il matterello e cotta a una temperatura tra i 200°C e i 250°C per un massimo di 4 minuti. Secondo la tradizione, viene cotta sul testo romagnolo, una sorta di padella di terracotta, oggi sostituita da testi in ghisa o alluminio. Quando è ben caldo, si poggia la piadina da un lato: se si gonfia, va bucata con una forchetta e dopo due minuti va girata. Occhio a non bruciarla, mai però tenere il fuoco basso: altrimenti la piadina impiegherà più tempo a cuocersi, perdendo così tutta l’umidità e diventando secca e dura.
Da dove viene?
È una specialità tutta romagnola che, nel 2014, ha conquistato il marchio Igp (Indicazione geografica protetta). Un disciplinare ne definisce ingredienti, caratteristiche, metodo di preparazione ed elenca i comuni in cui è prodotta quella originale: dalle province di Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna e, in Emilia, anche Bologna fino ai comuni toccati dal corso storico del fiume Sillaro. A tutelare l’originalità della produzione e a valorizzare il prodotto, c’è il Consorzio di promozione e tutela della piadina romagnola, composto da aziende artigianali, industriali e chioschi del territorio.
Che storia ha?
Se le prime origini di impasto di farina e grassi come alimento base risalgono agli Etruschi e, poi, ai Romani, la parola piada appare per la prima volta in un documento ufficiale del 1371, compilato dal cardinale Angelico. Nei secoli, ha sostituito il pane e ha sfamato i meno abbienti, come scrive Giovanni Pascoli, nel poemetto La piada: «Piada, pieda, pida, pié, si chiama dai romagnoli la spianata di grano o di granoturco o mista, che è il cibo della povera gente». Poi, dal secondo dopoguerra, è arrivata la grande popolarità, con la piadina, regina dei chioschi, dello street food e del web.
Come farcirla?
«La pida sé parsot la pis un po m’ a tot»: se, secondo il proverbio dialettale, con il prosciutto piace un po’ a tutti, per farcirla c’è l’imbarazzo della scelta. Si può gustare con prosciutto e stracchino, squacquerone e rucola, erbe cotte, patate e salsiccia o, come nel riminese, con sardoncini (un tipo di pesce azzurro tipico dell’Adriatico), radicchio e cipolla. Potete spaziare dal tonno, al salmone, al pollo, e arricchirla con hummus, formaggio cremoso, salsa allo yogurt e scaglie di parmigiano. Se vi piace dolce, provatela con ricotta e marmellata, crema di nocciole, mele e burro di arachidi.