La Calvana è un territorio montuoso ricco di ecosistemi situato tra Prato e Firenze. La sua particolarità sono gli estesi prati e pascoli che si trovano sulla sommità e ospitano una grande varietà di fauna e flora. Giusto per fare un esempio, ci sono più di 20 diversi tipi di orchidee, insieme a salamandre, rane, caprioli, cervi, volpi, martore, cinghiali, lupi, istrici, tassi. Ma c’è di più.
«Motivo di curiosità e pellegrinaggio sono anche i cavalli “selvatici”. La storia racconta che circa 40 anni fa qui ne sono stati abbandonati alcuni che si sono ben ambientati, dando vita a una progenie di una sessantina di individui, che vivono allo stato brado. Una situazione molto interessante da studiare da un punto di vista etologico ed ecologico, visto che fenomeni simili sono piuttosto rari», spiega Giacomo Santini, professore di Ecologia del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio.
Gambatorta e gli altri
«Altri gruppi di cavalli sono stati segnalati in Liguria, Abruzzo e in Portogallo – racconta Alberto Masoni, assegnista di ricerca del dipartimento di biologia -. La faccenda è particolare, perché questi animali rappresentano un vuoto normativo. Non sono classificati come fauna selvatica, ma non sono neanche domestici, dal momento in cui non risultano registrati. Di fatto chiunque potrebbe prenderne uno e dire che è suo. È capitato che in passato alcuni siano stati “rubati” e portati al macello.
Grazie ad una collaborazione con il dipartimento di Agraria, l’Associazione Salvaguardia e Sviluppo Calvana e il Centro tedesco per la Ricerca sulla Biodiversità, abbiamo in previsione alcuni studi che ci aiuteranno a capire i legami parentali e le dinamiche di branco. I cavalli si sono abituati alla presenza dell’uomo e ciò ha incrementato l’ecoturismo. Non passa inosservato Gambatorta, un soggetto anziano che qualche anno fa si è fratturato una zampa e che ora si presenta vistosamente calcificata e piegata in avanti. Altrove sarebbe finito al macello, qua ha trovato il modo di sopravvivere nonostante il limite importante».
Un aiuto dalle fototrappole
Le attività di pastorizia e agricoltura nei millenni hanno modellato l’ambiente, formando un ecosistema con degli equilibri che dopo l’abbandono delle campagne avvenuto negli anni ‘50 del Novecento si sono persi, portando a un degrado generale delle condizioni del territorio.
«Quello che stiamo cercando di fare attraverso un sistema di fototrappole – spiega Ilaria Greco, dottoranda dello stesso dipartimento – è acquisire quanti più dati possibili che ci possano aiutare a preservare e a far conoscere questa zona. Si tratta di un dispositivo che, grazie a un sensore che agisce sia a livello termico che di movimento, rileva la presenza di animali, li fotografa e permette di identificare le varie specie di fauna che vivono in questo territorio, per poi studiare l’uso dell’habitat e le interazioni fra animali. Questo sistema segue un protocollo che consente di acquisire dati in modo standardizzato e sistematico, facilitando così il confronto con ricerche condotte in altre aree geografiche».
Non solo cavalli
È stata rilevata anche la presenza del gatto selvatico, un argomento che fra gli studiosi sta riscuotendo attenzione perché il rischio di ibridazione con il gatto domestico, presente ovunque, è alto. Supposizioni, dunque, che vanno verificate.
«Ma volete sapere qual è l’animale più fototrappolato? – chiede Greco – L’uomo! Sono numerosissime, infatti, le persone che vengono a fare trekking o passeggiate. Un’attività, apparentemente innocua, ma che potrebbe creare un disturbo alla fauna. Si è visto, infatti, che molto animali hanno cambiato le loro abitudini: continuano a frequentare le stesse aree ma, per evitare gli umani, spostano le loro attività di sera».