In inglese basta una sola parola: smellscape, simile a landscape (paesaggio), in italiano ne servono due, cioè paesaggio olfattivo, per indicare l’insieme di odori, fra i quali i profumi e altri meno gradevoli, che caratterizzano un ambiente. Se noi umani ne percepiamo ormai solo una piccola parte – ma comunque significativa e basti pensare al giro d’affari nell’industria dei profumi e alla quantità di aromi presente negli alimenti -, per molti animali rappresentano un universo di stimoli.
Bill Hansson, neuroetologo svedese che ha diretto il Max Planck Institute for Chemical Ecology, nel suo libro L’arte di vivere annusando (ed. Aboca) riporta l’attenzione su questo “senso”, a volte trascurato. Nella prefazione, Giovanna Zucconi ci spiega che «gli odori sono molecole volatili, catturate da recettori che trasmettono segnali alle porzioni più antiche del nostro cervello. Per questa ragione annusare stimola emozione e memoria. L’olfatto è una modalità di comunicazione che ci garantisce la sopravvivenza e la riproduzione».
Tracce d’amore
Fra gli animali con l’olfatto più sensibile c’è la falena, scrive Hansson. Il maschio è in grado di seguire la scia di profumo della femmina in una concentrazione quasi omeopatica: pare che il suo olfatto sia un milione di volte più sensibile del nostro.
«Quando il salmone torna nello stesso ramo di fiume in cui è nato per deporre le uova, usa l’olfatto per ritrovare la via di casa. I vari tratti di acqua hanno un odore così specifico che è come se ognuno avesse una firma».
Proverbiale è la capacità dei cani di usare il fiuto: «Infatti – prosegue lo scienziato – mettiamo a frutto questa capacità nella localizzazione delle vittime di un terremoto, nelle operazioni di ricerca o nell’individuazione del cancro. Di fatto i cani “vedono”sotto forma di odori, non di impressioni visive. E siccome gli odori sono persistenti, ai cani rivelano che cosa è successo, o chi è passato, anche molto tempo prima. Il naso dei cani ha due narici, proprio come il nostro, ma loro possono muoverle e usarle in modo indipendente una dall’altra. Il cane di Sant’Uberto, il segugio per eccellenza, arriva ad avere trecento volte il numero di cellule che rilevano gli odori rispetto all’uomo».
Anche in volo
Se le eccezionali capacità olfattive dei cani sono note da tempo, poco sapevamo degli uccelli. «Per molte specie i colori brillanti del piumaggio sembrano essere una conferma dei loro eccellenti occhi. Invece, ora si sa che alcune sopravvivono grazie all’olfatto. Gli avvoltoi, per esempio – spiega lo scienziato – riescono a captare da lontanissimo l’odore di un animale morto, mentre gli uccelli marini, come gli albatros, sono in grado di fiutare il plancton, che per loro significa abbondanza di pesce».
A proposito di uccelli vale la pena spendere due parole su quelli considerati da molti un vero fastidio, un problema da risolvere: i piccioni. Molti studi dimostrano la loro intelligenza e grazie ai messaggi che trasportavano sono state salvate molte vite durante la prima e la seconda guerra mondiale, anche se pare venissero usati come postini fin dall’Impero Romano.
«Tanto per cominciare, sono tra i pochi animali che hanno superato il test di autoriconoscimento allo specchio. La maggior parte delle conoscenze sul loro olfatto le dobbiamo a uno scienziato toscano, Floriano Papi, che è stato il primo a ipotizzare che i piccioni si affidino agli odori per ritrovare la via di casa. Studi recenti e più sofisticati dimostrano che aveva ragione. Non dico che ricorrano solo a esso, ma sicuramente è uno strumento importante».
Tutti gli animali hanno capacità straordinarie, esistono macchine altrettanto sofisticate? «Il mercato dei nasi artificiali è enorme, ogni anno vengono presentati nuovi apparecchi sempre più intelligenti, tuttavia hanno ancora dei limiti. Il principale è la loro incapacità di essere sensibili quanto i sistemi che si trovano in natura ».