Quello che i media non dicono
Quando sale sul palco, molti nel pubblico pensano di sapere già cosa dirà. In fondo, della questione immigrazione se ne parla tutti giorni sui media. Le parole che escono come un fiume in piena dalla bocca di Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, raccontano ciò che i media non dicono: torture, ferite, bruciature di sigaretta, scarnificazioni, quelle che subiscono i migranti nei centri di detenzione in Libia.
Il dramma del Mediterraneo
Bartolo ha deciso di raccontare e di non lasciare ai media tradizionali la narrazione del dramma del Mediterraneo: per questo gira l’Italia e l’Europa, va nelle scuole, nei circoli, nei teatri, per testimoniare la verità. Così come ha fatto a Firenze sul palco del TuscanyHall, in occasione della serata di chiusura della raccolta fondi per il restauro del Memoriale di Auschwitz.
A proposito di verità, i tg raccontano che gli sbarchi sono finiti: è davvero così?
No. Certamente sono diminuiti, ma non sono affatto terminati. I migranti adesso arrivano con i gommoni, non più con le carrette del mare che erano pur sempre delle imbarcazioni relativamente solide. I rischi che corrono, quindi, sono ancora maggiori, anche perché non ci sono più le navi delle Ong a soccorrerli.
Molti italiani sono soddisfatti della diminuzione degli sbarchi…
Il Governo si vanta degli accordi stipulati con le autorità libiche, ma di quali autorità si parla, in Libia non esiste un governo riconosciuto. Dichiarano orgogliosi di aver fermato i migranti di là dal Mediterraneo, ma non ci dicono cosa succede a queste persone che restano in Libia. Ve lo dico io: è un nuovo Olocausto, più ridotto nei numeri forse, ma ancora più grave è che oggi sappiamo cosa succede, lo sappiamo da venti anni, ma ci giriamo dall’altra parte: le persone vengono costrette in veri e propri campi di concentramento, uccise, seviziate, le donne violentate, e subiscono torture che vedo e tocco con mano perché visito tutti quelli che arrivano sull’isola.
Durante le visite mediche avrà riscontrato anche le malattie che i migranti sono accusati di portare in Italia?
Anche quella delle malattie è una bugia. Io verifico che fra chi arriva sull’isola via mare non ci siano persone infette, perché altrimenti dovrebbe essere impedito lo sbarco. Ebbene, in 28 anni di lavoro non ho mai riscontrato una malattia infettiva grave. I migranti soffrono soprattutto di patologie che derivano dal viaggio in mare: ipotermia, che è difficile da curare ed è la causa prevalente di morte, disidratazione, disagi psicologici e dal 2013 anche quella che ho chiamato la malattia del gommone.
Che cos’è? Una nuova patologia?
Riguarda principalmente le donne e spesso le porta alla morte. Il nome gliel’ho dato io, perché si è diffusa da quando i migranti arrivano soprattutto con i gommoni. Non è una malattia infettiva, ma si tratta di ustioni chimiche causate dal contatto con la miscela che si forma fra carburante e acqua di mare.
Perché riguarda soprattutto le donne?
Perché per proteggerle dal mare gli uomini fanno sedere sul fondo del gommone le donne che si bagnano con questa miscela. Le ferite provocate sono profonde e molto difficili da curare, tanto che molte di queste donne muoiono.
Sulla sua esperienza di vita ha scritto due libri: perché?
I libri sono lo strumento per raccontare la verità, e sempre per la verità ho insistito per la realizzazione di Fuocoammaare (il film di Gianfranco Rosi, Orso d’oro a Berlino 2016).
Chi avrebbe mai pensato di scrivere un libro, io che al massimo scrivevo ricette. Per il secondo mi ha aiutato mio figlio, che viene con me a giro per l’Italia a raccontare la storia vera dei migranti a Lampedusa.