Un po’ come accade con i grandi personaggi della storia, dietro a un grande vino c’è qualcuno, non necessariamente una grande donna, ma sicuramente un enologo. Nel caso di Riccardo Cotarella, però, le mogli, pardon le aziende, con cui lavora, o lo ha fatto in passato con i dodici collaboratori suoi ex studenti, sono 103 e i figli, cioè i vini, centinaia. L’enologo umbro è tra i più apprezzati a livello internazionale, oltre che docente di Viticoltura ed enologia all’Università della Tuscia di Viterbo. Chi meglio di lui per parlare di vino e della grande passione che riesplode dopo i periodi bui, come quelli dovuti al Covid? «Lo abbiamo visto anche lo scorso anno: nelle pause fra una chiusura e l’altra il consumo di vino riprendeva con vigore, perché il vino accompagna l’uomo nella voglia di vivere e stare insieme».
Durante i lockdown il consumo è calato?
La chiusura di locali e ristoranti ha ridotto notevolmente le occasioni per stappare una buona bottiglia, ma la grande distribuzione e l’e-commerce hanno attutito il colpo e, aguzzando l’ingegno, insieme alle aziende abbiamo trovato nuove strade per continuare a parlare di vino, ma anche ad assaggiarlo insieme.
Come ci siete riusciti?
Con i web testing, assaggi attraverso internet, ma il vino era vero: le bottiglie venivano inviate a casa di esperti, giornalisti, appassionati e in contemporanea si assaggiava il vino, scambiando pareri e informazioni. Abbiamo riunito fino a cento persone da tutto il mondo: gli americani hanno accettato di collegarsi la mattina presto per poter degustare insieme a chi, in Cina, stava per concludere la giornata.
Ormai il vino è apprezzato in ogni parte del pianeta, ma complessivamente si beve meno che in passato.
Se qualche decennio fa il consumo annuo di vino era di 130 litri pro capite, ora si aggira intorno ai 30. Però è completamente cambiato il modo di consumarlo: il vino non è più soltanto una bevanda da bere ai pasti, ma qualcosa che unisce, che fa star bene e ogni momento è buono per avvicinarsi, perché il vino è passione, emozione e cultura.
In che senso il vino è cultura?
Oggi chi stappa una bottiglia non si accontenta di berne il contenuto, vuole conoscere la storia del vino, chi lo produce, la varietà delle uve, il territorio. Una storia lunga quanto avvincente che l’enologo ha la responsabilità di rispettare.
Quale consiglio darebbe a un giovane che vuole diventare enologo?
Per me è uno dei mestieri più belli del mondo perché permette di stare a contatto con la natura, di conoscere popoli e tradizioni, di osservare ma anche alimentare processi naturali complessi, biologici, chimici e fisici. La produzione del vino è una scienza della vita. Sono convinto che chi sceglierà questa professione avrà tanto in cambio. Certo, è fondamentale studiare.
Come hanno influito i cambiamenti climatici sulle caratteristiche dei nostri vini?
Il cambiamento climatico ha conseguenze negative per la flora e la fauna in genere. Però tante cultivar indigene italiane –tardive classiche, come Nebbiolo, Montepulciano, Aglianico, Sangiovese – prima del riscaldamento globale difficilmente raggiungevano eccellenti livelli di maturazione fenolica, e lasciare i grappoli sulla pianta portava spesso muffe o deterioramenti per le piogge autunnali. Adesso, maturando due o tre settimane prima, raggiungono quella qualità che ha permesso il rinascimento del vino italiano.
A proposito, che vino ci regala la vendemmia 2021?
Nonostante i problemi atmosferici (gelate primaverili, grandine, siccità), questa stagione si presenta con buoni auspici: se la quantità sarà inferiore alla vendemmia passata, la qualità delle uve promette di essere da buona a ottima. Per la qualità del vino, tranquilli, la garantiranno gli enologi italiani.