La pandemia è stata una tragedia che però ha prodotto un’accelerazione di processi innovativi come la digitalizzazione e una maggiore consapevolezza del ruolo cruciale della ricerca scientifica. Oggi tutti capiscono l’importanza dei vaccini e che non si possono sviluppare senza laboratori e senza la ricerca fondamentale in biologia molecolare, in immunologia, in virologia. Insomma: abbiamo imparato da questa pandemia che si deve tornare a investire nella ricerca.
La transizione digitale e quella ecologica sono con chiarezza, assieme alla salute e alla formazione, le prime, strategiche sfide che ci troviamo davanti. I fondi del Pnrr (il Piano Nazionale di Resilienza e Ripartenza, ndr) per innovazione e ricerca ci offrono un’opportunità importante, storica, come Paese e come Cnr. Possiamo mettere in pratica un laboratorio di soluzioni tecnologiche e organizzative, un nuovo umanesimo che ponga l’evidenza scientifica come metodo e il benessere delle persone come obiettivo. La scienza dev’essere sostenuta con fiducia e deve sempre più mettersi al servizio dell’umanità, in particolare di chi è solo, delle fragilità che la pandemia ha reso più evidenti e dolorose.
Allo stesso tempo dobbiamo dare un segnale ai giovani e ai cittadini, far capire che studiando, con la conoscenza, si acquisiscono gli strumenti per cambiare il futuro. Il primo e importante punto riguarda i laureati Stem (discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneria e matematica, ndr) che non sono in numero sufficiente: senza persone formate in queste materie non potremo cogliere la sfida. E poi i salari dei ricercatori sono troppo bassi, soprattutto rispetto agli altri Paesi avanzati: chi spende anni in formazione deve essere riconosciuto.
In Italia manca anche la flessibilità, siamo ingabbiati in regole troppo burocratiche. Lo scenario è comunque complesso: serve un investimento sul reclutamento, sulle progressioni di carriera e sulle condizioni contrattuali, ma dobbiamo anche favorire la filiera dell’innovazione: occorre facilitare il deposito dei brevetti, sostenere le certificazioni, i trial sperimentali, fornire strumenti assicurativi e legali, sinergie. Il livello della ricerca italiana è straordinario, considerate le condizioni, ma non abbiamo visione d’insieme.
Come presidente del Cnr, attualmente sono in una fase di ascolto e di studio. Per capire quali cambiamenti adottare ho bisogno di analizzare la straordinaria ricchezza e complessità di questo ente. Certamente in questo contesto di emergenza sanitaria il Cnr può assumere un ruolo fondamentale, poiché possiede un’unità e una pluralità di saperi che fanno massa critica, di conoscenze, progetti e ricerche per affrontare la complessità dell’attuale situazione.
II Cnr è il più grande ente di ricerca pubblico italiano e una risorsa essenziale per questo Paese, per individuare quali strategie attuare per uscire da questa crisi. Essere presidente mi emoziona, percepisco una grande responsabilità e cercherò di essere un primus inter pares. Sono orgogliosa e onorata, anche per essere stata nominata dalla ministra Messa, che stimo: una donna che nomina una donna è un bel simbolo del potenziamento della condizione femminile. Per me però questo è solo il passo iniziale, ora vorrei andare avanti e lavorare tutti assieme, donne e uomini.