La vitamina D è importante per diabete, malattie neurologiche e molto altro
Un tempo le mamme davano ogni settimana ai bambini, per prevenire il rachitismo, un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, cattivissimo ma ricco di vitamina D. Già dalla seconda metà del secolo scorso si è scoperto che non si tratta di una vitamina, ma di un ormone.
«In realtà solo il precursore della forma attiva di questo ormone può essere assimilato a una vitamina – spiega Carlo Maria Rotella, direttore della Scuola di specializzazione in Endocrinologia del metabolismo dell’Università di Firenze – Questo precursore, il colecalciferolo, si può introdurre con alcuni alimenti o per una sintesi operata dai raggi ultravioletti del sole nella pelle. Nell’organismo, poi, avvengono due trasformazioni chimiche: la prima, a opera del fegato, produce il calcifediolo, e la seconda, svolta dal rene, genera il calcitriolo, la vera forma attiva di questo ormone».
È vero che questo ormone è coinvolto nei processi di ossificazione e nella cura delle malattie ossee?
Certo che sì, mantiene i livelli di calcio e di fosforo entro le concentrazioni necessarie per un sistema scheletrico in buona salute. Favorisce l’assorbimento del calcio da parte dell’intestino e stimola l’attività degli osteoblasti, cellule deputate al meccanismo di ossificazione. La principale indicazione terapeutica è la prevenzione e la terapia dell’osteoporosi.
Si sente parlare di effetti anche su altri organi e apparati. Quali?
Il cervello, la muscolatura liscia vascolare, l’apparato muscolare scheletrico, la prostata, i polmoni, i reni, il sistema immunitario hanno recettori per questo ormone: in caso di carenza, è necessario provvedere alla terapia con i precursori dell’ormone. Livelli ottimali di questa sostanza possono prevenire la comparsa di malattie cardio-vascolari, cerebro-vascolari, infettive, la carie dentaria dei bambini, le malattie neurologiche, la replicazione delle cellule tumorali e la comparsa del diabete mellito.
Si parla della carenza di vitamina D come di una pandemia emersa negli ultimi anni. Quali sono i dati in Italia?
La percentuale degli individui carenti è variabile, oscillando tra il 19 ed il 96%, a seconda di età, sesso e presenza di alcune malattie. La carenza aumenta con l’età, nel sesso femminile (soprattutto in menopausa o in gravidanza), nei pazienti obesi o in quelli affetti da diabete mellito di tipo 2.
Perché si è creata questa carenza?
Le persone, nei paesi sviluppati, trascorrono sempre più tempo in ambienti chiusi, quando stanno all’aperto proteggono la pelle con protezioni solari e hanno cambiato le abitudini alimentari, consumando meno frequentemente cibi ad alto contenuto di vitamina D. Raramente quindi si raggiunge il fabbisogno giornaliero che è di 400 Ui. Nei pazienti sovrappeso o obesi la vitamina D, che è liposolubile, viene “sequestrata” nei depositi di grasso e quindi non è più nel sangue.
Quali sono gli alimenti ricchi di questa vitamina?
Il salmone ha concentrazioni molto elevate per 100 grammi (mediamente 700 Ui, che può raddoppiare per il pesce non allevato). Le aringhe fresche hanno 1600 Ui e le sardine fresche 300, il tonno in scatola 250 per 100 g. I gamberi, i tuorli d’uovo e i funghi coltivati contengono concentrazioni variabili tra 40 e 150 Ui per 100 g. L’olio di fegato di merluzzo contiene in soli 5 ml (un cucchiaino) poco più del fabbisogno giornaliero, ma il suo gusto è repellente, pertanto non è una buona soluzione.
Lei consiglierebbe di prendere farmaci contenenti vitamina D?
Anche in assenza di malattie specifiche è bene fare un dosaggio del calcifediolo circolante, soprattutto nelle donne in gravidanza, in menopausa, nei pazienti obesi o diabetici. Se ci troviamo di fronte a una carenza, sarà il medico di famiglia a prescrivere il farmaco opportuno.